Il vento in mare, al contrario dei molti pareri scettici di chi non considera l'eolico off-shore una fonte di energia sufficientemente valida, rappresenta una risorsa che potrebbe coprire il 17% del fabbisogno elettrico europeo. Ad evidenziare le potenzialità di questa tecnologia, il report presentato dall'European Wind Energy Association (EWEA) alla Conferenza europea sull'eolico, in corso a Stoccolma e che durerà per tutta la settimana.
Il vento in mare, al contrario dei molti pareri scettici di chi non considera l’eolico off-shore una fonte di energia sufficientemente valida, rappresenta una risorsa che potrebbe coprire il 17% del fabbisogno elettrico europeo. Ad evidenziare le potenzialità di questa tecnologia, il report presentato dall’European Wind Energy Association (EWEA) alla Conferenza europea sull’eolico, in corso a Stoccolma e che durerà per tutta la settimana.
Il dossier “Oceans of opportunity” presentato dalla lobby dell’industria eolica europea, analizza passo dopo passo il programma da seguire da qui al 2030 con la quale si riuscirebbe ad evitare 292 milioni di tonnellate di gas serra. Attualmente sono 11 le reti operative, dislocate principalmente nei mari di Danimarca, Regno Unito e Paesi Bassi ed altre 21 sono in costruzione, per un totale di 1,5 GW, ossia il 10% del fabbisogno elettrico del vecchio continente. Ne basterebbero altri 8 parchi eolici in più da 100 x 100 km nelle aree ventose del mare che circonda l’Europa per fornire 3 mila terawattora, sufficienti per l’intero continente.
Se nel 2020 si riuscisse ad arrivare a 40 GW installati, l’eolico marino contribuirebbe ad un ulteriore 4% del fabbisogno elettrico europe, ad evitare 85 milioni di tonnellate ogni anno di CO2 e, cosa non da sottovalutare, ad attirare 8,8 miliardi di euro in investimenti. Fino ad arrivare, nel 2030 appunto, agli auspicati 150 KW con altre sei nuove reti addizionali da ubicare tra le isole Shetland e la Norvegia olte che tra Gran Bretagna, Belgio, Olanda e Danimarca.
Al contrario dell’eolico a terra, l’off-shore offre il vantaggio della costanza (in mare il vento è sempre presente), ma necessita, di contro, di enormi investimenti, di ingenti capitali e di processi autorizzativi attualmente lenti e laboriosi. Da qui la necessità di abbattere le barriere burocratiche e far crescere uniformemente tutte le parti della filiera – da chi produce i componenti, a chi realizza le fondamenta, a chi fornisce le navi per andare a posare gli impianti – per tentare di creare una vera e propria “rete autostradale dell’energia” in grado di collegare via mare le nazioni europee in un unico mercato dell’energia.
Da parte sua la Commissione Europea ha risposto al rapporto dell’EWEA siglando un accordo in cui si impegna con le industrie a garantire le infrastrutture idonee alla diffusione dell’eolico off-shore, provvedendo a far fronte alle fondamenta necessarie per l’istallazione, agli aereogeneratori, nonché alla posa dei cavi per la distribuzione dell’energia elettrica ad alta tensione. “Nel corso dei prossimi tre o quattro decenni – ha dichiarato Andris Pieblags, commissario europeo per l’energia– il nostro sistema di generazione dell’energia elettrica deve diventare “carbon neutral“.
E in Italia? Mentre a Stoccolma si discute di potenzialità e ostacoli, nel Bel Peese, il Ministero dell’Ambiente ha finalmente autorizzato, con un decreto di Via la realizzazione del primo parco off-shore in acque nazionali e precisamente di fronte alla costa di Termoli, in Molise. Ancora lontani dai 10 parchi eolici preventivati dalla mappa di EWEA, ma comunque un gran bel passo avanti, soprattutto se si considera che la pratica risale al novembre del 2005.
Simona Falasca