La Rice University ha sviluppato una soluzione rivoluzionaria per migliorare la stabilità delle celle solari in perovskite, portando una promettente innovazione nell'energia solare
Le perovskiti rappresentano davvero una rivoluzione nel campo dell’energia solare, grazie a un’innovazione che potrebbe finalmente risolvere uno dei problemi più complessi: la stabilità. Siamo in un’epoca in cui l’Accordo di Parigi del 2015 ha imposto una sfida epocale all’umanità: contenere l’aumento della temperatura globale entro i 1,5 °C. Per raggiungere questo traguardo, dobbiamo ridurre in modo drastico la nostra dipendenza dai combustibili fossili e accelerare l’adozione di fonti rinnovabili, con l’energia solare in prima linea.
Nel panorama delle tecnologie solari, le celle in perovskite sono considerate il futuro. Offrono rendimenti elevati e potrebbero rappresentare la svolta per l’intera industria energetica. Tuttavia, nonostante le loro promesse, la loro fragilità è stata finora un ostacolo insormontabile. Queste celle, infatti, tendono a deteriorarsi rapidamente quando esposte a condizioni ambientali avverse, come umidità e temperature elevate, limitando così il loro potenziale commerciale.
Ad oggi, qualcosa sta cambiando. Un team di scienziati dell’Università Rice di Houston, guidato dal professor Aditya Mohite, ha sviluppato una soluzione innovativa che potrebbe ribaltare questa situazione. Hanno scoperto che combinando ioduro di piombo formamidinium (FAPbI3) con perovskite bidimensionale (2D), si può migliorare significativamente la stabilità delle celle. Il FAPbI3, pur essendo chimicamente stabile, soffre di instabilità strutturale che può portare alla formazione di nuovi cristalli e compromettere l’efficienza delle celle. La perovskite 2D, con la sua struttura unica, riesce a stabilizzare il FAPbI3, creando un film fotovoltaico di qualità superiore.
Test promettenti per una svolta verso la commercializzazione
I risultati sono stati eccezionali. Le celle solari trattate con questa nuova tecnica hanno mantenuto un’alta efficienza, perdendo solo il 3% dopo oltre 1.000 ore di funzionamento a temperature di circa 85 °C. E non è tutto: queste celle non hanno mostrato segni di degrado dopo 20 giorni di esposizione continua alla luce solare, un risultato notevole se pensiamo che le celle senza perovskite 2D iniziavano a deteriorarsi già dopo soli 2 giorni di esposizione.
Questa innovazione non solo ha migliorato la stabilità, ma ha anche aumentato l’efficienza complessiva delle celle, riducendo i disordini interni del film fotovoltaico e ottimizzando la risposta del materiale alla luce. Questo significa che non solo le celle dureranno più a lungo, ma convertiranno la luce solare in energia elettrica in modo più efficace. Inoltre, il processo di produzione di queste celle avviene a temperature relativamente basse, inferiori a 150 °C, rendendo la fabbricazione più semplice ed economica rispetto ai tradizionali pannelli in silicio. Questo potrebbe tradursi in una significativa riduzione dei costi, rendendo l’energia solare ancora più accessibile.
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Fonte: Rice University
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