Ecosistema Rischio 2013: tutti i dati sul dissesto idrogeologico italiano

Legambiente e Dipartimento della Protezione Civile presentano Ecosistema Rischio 2013: 6 milioni di persone esposte al pericolo di dissesto idrogeologico

Rischio idrogeologico: più di 6 milioni di persone in Italia sono esposte ogni giorno al pericolo di frane e di alluvioni e sono ben 6.633 i comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico, l’82% del totale.

Sono i dati che emergono dalla decima edizione di Ecosistema rischio 2013, il dossier che ogni anno Legambiente e il Dipartimento della Protezione Civile producono dopo aver verificato le attività per la mitigazione del rischio idrogeologico di oltre 1.500 comuni italiani tra quelli in cui ci sono zone esposte a un maggiore pericolo.

LO STUDIO – L’indagine ha analizzato 1.354: in 1.109 di essi sono presenti case in aree a rischio, ossia vicino ad alvei e in zone dove c’è pericolo di frana. In 779 comuni in aree a rischio sorgono invece impianti industriali, il che vuol dire che, in caso di calamità, vi è un grave pericolo oltre che per le vite dei dipendenti, anche per l’eventualità di sversamento di prodotti inquinanti nelle acque e nei terreni circostanti.

La prima cosa che andrebbe fatta in questi casi è spostare quelle stesse abitazioni in zone meno pericolose. E lo stesso con gli insediamenti industriali. Ma volete sapere quanti comuni hanno intrapreso simili azioni? Solo 55 hanno pensato di far costruire le abitazioni in zone più sicure e solo 27 hanno provveduto a delocalizzare le industrie.

Per non parlare di scuole e ospedali: in 242 amministrazioni sono state costruite in aree a rischio idrogeologico proprio scuole e ospedali, mentre in 324 comuni sorgono sia strutture ricettive che commerciali. In 147 di questi (il 79%) sono state edificate delle abitazioni, in 31 comuni sono venuti su dei quartieri interi, mentre in 60 comuni l’edificazione recente ha riguardato insediamenti industriali. Infine, in 153 comuni sono stati tombinati e coperti tratti dei corsi d’acqua con la conseguente urbanizzazione degli spazi sovrastanti.

Ed è proprio per questo che le tragedie si ripetono. Pensate che, nonostante la già piena consapevolezza dei pericoli, anche nell’ultimo decennio sono state costruite nuove strutture in zone esposte a pericolo di frane e alluvioni. Un paradosso che non trova giustificazioni.

“Frane e alluvioni comportano ogni anno un bilancio pesantissimo per il nostro Paese sia per le perdite di vite umane che per gli ingenti danni economici – ha dichiarato il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -. E se è ormai chiaro il ruolo determinante dell’eccessivo consumo di suolo, dell’urbanizzazione diffusa e caotica, dell’abusivismo edilizio e dell’alterazione delle dinamiche naturali dei fiumi nell’amplificazione del rischio, le politiche di mitigazione faticano a diffondersi”. Dezza lamenta inoltre la quasi totale mancanza di una pianificazione di interventi concreti volti a “ripensare” quei territori in termini di sicurezza e gestione corretta del rischio.

Concorda il Capo del Dipartimento della Protezione civile, Franco Gabrielli, che afferma la necessità di “concentrarci sulla prevenzione di protezione civile e su una corretta informazione ai cittadini, strumenti che nell’immediato possono consentirci di salvare vite umane”. E punta sulla “proposta di una revisione delle politiche di uso del territorio, sospendendo, magari, quei progetti che possano provocare un ulteriore aggravio del rischio in un paese sempre più fragile come il nostro e investendo le poche risorse che abbiamo sulla messa in sicurezza”.

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MA COSA FANNO ALLORA I COMUNI? Il 64% dei comuni intervistati (872 amministrazioni) ha dichiarato di svolgere regolarmente un’attività di manutenzione ordinaria delle sponde dei corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica, e 905 comuni (il 67%) confermano che nei propri territori sono stati realizzati interventi di messa in sicurezza. Interventi che però risultano essere semplicemente la costruzione di nuove arginature o l’ampliamento di arginature già esistenti. Solo il 9% (122 comuni intervistati) ha invece affermato di aver provveduto al ripristino e alla rinaturalizzazione delle aree di espansione naturale dei corsi d’acqua e solo nel 6% dei casi di aver riaperto tratti tombinati o intubati dei corsi d’acqua.

Al rimboschimento di versanti montuosi e collinari franosi o instabili ci hanno pensato solo 68 comuni oggetto dell’indagine, mentre in 406 le attività di messa in sicurezza hanno previsto opere di risagomatura dell’alveo fluviale (il 30% dei comuni del campione).

Nella classifica di Ecosistema rischio 2012, i tre comuni risultati più virtuosi nelle attività di mitigazione del rischio idrogeologico sono:

1. Calenzano (FI)
2. Agnana Calabra (RC)
3. Monasterolo Bormida (AT).

E i tre comuni che non hanno ancora avviato sufficienti attività mirate alla mitigazione del rischi:

1. San Pietro di Caridà (RC)
2. Varsi (PR)
3. San Giuseppe Vesuviano (NA)

Protezione civile – L’85% dei comuni (1.148 amministrazioni fra quelle che hanno partecipato all’indagine) si è dotato di un piano di emergenza da mettere in atto in caso di frana o alluvione. Piano che, tuttavia, risulto obsoleto per 733 comuni, che hanno aggiornato il proprio piano d’emergenza solo negli ultimi due anni.

Eppure, a regolamentare l’adozione di un piano di emergenza ci pensa la legge 100 del 2012, attraverso la quale sono state disposte alcune misure per la riorganizzazione del sistema di protezione civile. Ma, ad oggi, troppi comuni continuano a non adempiere a questo importante compito o dispongono comunque di strumenti non adeguati per affrontare eventuali emergenze nel territorio.

Complessivamente, sono ancora troppe le amministrazioni comunali italiane che tardano a svolgere un’efficace politica di prevenzione, informazione e pianificazione d’emergenza. Appena il 49% dei comuni intervistati (664) svolge un lavoro positivo di mitigazione del rischio idrogeologico, mentre il 16% delle amministrazioni campione dell’indagine (218) risulta gravemente insufficiente.

Ritardi su ritardi e inadempienze su inadempienze, insomma, si accumulano a discapito della sicurezza dei cittadini. Quanti disastri ancora si dovranno verificare prima che si prendano reali provvedimenti e che, magari, paghi chi ha colpe e morti sulla coscienza?

Germana Carillo

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