Il nostro Paese ha deciso di fare marcia indietro sulla Green economy. Nella seduta pomeridiana dell’Aula di palazzo Madama di ieri pomeriggio, 14 aprile, è infatti passata una mozione firmata da alcuni senatori del centro-destra, primo tra tutti Gianpiero D’Alia (Udc), che nega di fatto la necessità che l’Italia si doti di una politica ambientale forte. L’approvazione della mozione, che ricordiamo è un atto con cui il governo si impegna formalmente nei confronti del Parlamento, è in ogni caso un segnale chiaro su quella che sarà la politica ambientale che verrà messa in campo dall’esecutivo nei prossimi anni.
Il nostro Paese ha deciso di fare marcia indietro sulla Green economy. Nella seduta pomeridiana dell’Aula di palazzo Madama di ieri pomeriggio, 14 aprile, è infatti passata una mozione firmata da alcuni senatori del centro-destra, primo tra tutti Gianpiero D’Alia (Udc), che nega di fatto la necessità che l’Italia si doti di una politica ambientale forte. L’approvazione della mozione, che ricordiamo è un atto con cui il governo si impegna formalmente nei confronti del Parlamento, è in ogni caso un segnale chiaro su quella che sarà la politica ambientale che verrà messa in campo dall’esecutivo nei prossimi anni.
L’atto di sindacato ispettivo firmato dai senatori del centro-destra ha chiesto in particolare al governo di promuovere in sede ONU la revisione degli assetti degli organi preposti alle determinazioni delle strategie ambientali “senza scadere in valutazioni di carattere personale dei vertici dell’Organizzazione” Non solo. L’esecutivo dovrà anche fare in modo che venga attivata, in sede di Unione europea, una rimodulazione dell’Accordo sul pacchetto clima ed energia 20-20-20 e chiederne la sostituzione con un nuovo accordo che meglio risponda ai differenti tessuti industriali e produttivi dei Paesi membri. I senatori hanno inoltre suggerito al governo di rivisitare gli impegni di riduzione delle emissioni di CO2 su livelli per l’Italia più equilibrati rispetto a quelli assunti dagli altri Stati membri aderenti e in linea con quelli assunti autonomamente da Usa, Cina, India, Sud Africa, Brasile e Messico, Paesi maggiormente protagonisti dei consumi di energia mondiali. Ma non è tutto. Secondo i parlamentari il nostro esecutivo deve inoltre impegnarsi in tutte le sedi diplomatiche e istituzionali per farsi promotore di un’intesa che coinvolga i maggiori Paesi inquinanti sostenendo anche una condivisione degli impegni connessi con gli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili mediante uno sviluppo dei mercati internazionali delle emissioni.
In poche parole i senatori della maggioranza hanno chiesto all’Europa di abbandonare la linea che ha trasformato la Germania in uno dei leader mondiali nel settore efficienza e delle rinnovabili. Insomma basta con gli impegni a difesa della stabilità climatica e avanti tutta con la vecchia economia basato sulle fonti tradizionali come il petrolio e il carbone. Un bel passo indietro, non c’è che dire. La mozione mette infatti in discussione la “correttezza e la serietà nella divulgazione dei dati forniti dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) e poi parla di “tesi catastrofiste basate sui contenuti dei rapporti Onu-Ipcc di alcuni studiosi inglesi alle quali gli altri governi si sono criticamente accodati condividendo analisi, oggi rivelatesi errate e non sufficientemente supportate dal dato scientifico“. Infine invita a far saltare l’obiettivo europeo al 2020 di una riduzione del 20 per cento dei gas serra, di un aumento del 20 per cento dell’efficienza energetica e di una quota del 20 per cento di energia da fonti rinnovabili richiedendo “l’attivazione in sede di Unione europea della clausola Berlusconi nel senso di dichiarare decaduto, in quanto non più utile, l’accordo del 20-20-20”.
Con l’approvazione della mozione il governo ha dunque deciso di fare retromarcia sul versante della Green economy. Non solo. In questo modo l’esecutivo guidato dal premier Silvio Berlusconi si è anche rimangiato gli impegni sul clima espressi in più di un’occasione e ha snobbato la scelta di un’economia sempre più sostenibile compiuta dal resto dei Paesi europei.