In un momento di crisi come quello che stiamo attraversando, l'abbiamo detto più volte, la green economy può davvero essere il tassello fondamentale per una crescita economica e occupazionale, che punti sulla sostenibilità oltre che sul profitto. E infatti, da una recente indagine presentata da Unioncamere alla 21esima edizione di JOB&Orienta, emerge che più di un terzo delle assunzioni previste dalle aziende (il 38%, circa 227mila su un totale di 600mila) riguardano profili professionali relativi ad ambiente, csr e sostenibilità.
In un momento di crisi come quello che stiamo attraversando, l’abbiamo detto più volte, la green economy può davvero essere il tassello fondamentale per una crescita economica e occupazionale, che punti sulla sostenibilità oltre che sul profitto. E infatti, da una recente indagine presentata da Unioncamere alla 21esima edizione di JOB&Orienta, emerge che più di un terzo delle assunzioni previste dalle aziende (il 38%, circa 227mila su un totale di 600mila) riguardano profili professionali relativi ad ambiente, csr e sostenibilità.
Secondo il Rapporto GreenItaly, curato da Symbola e Unioncamere, il 23,9% delle imprese italiane tra il 2008 e il 2011 ha investito o investirà in tecnologie e prodotti green, segno che il futuro dipende sempre più da strategie legate a innovazione e sostenibilità.
Delle 227mila assunzioni previste nel settore, circa la metà è costituita da professioni strettamente legate al mondo della green economy, come quelle dei settori delle rinnovabili, della gestione di acque e rifiuti, dell’efficienza energetica, dell’edilizia sostenibile e della mobilità alternativa. Green jobs che, secondo il rapporto, vengono ricercate soprattutto al Sud e nelle piccole imprese e che portano, nella maggior parte dei casi, ad assunzioni più stabili rispetto alle professioni normali (nel 48% dei casi si arriva ad un contratto a tempo indeterminato, contro il 43% degli altri lavori).
Per quanto riguarda i settori, quelli più riconducibili a questo tipo di bisogno sono l’edilizia (oltre il 70% delle assunzioni programmate va in questa direzione) e l’industria manifatturiera (più della metà delle assunzioni). Si tratta in parte di figure nuove, legate a innovazioni e tecnologie o a nuovi bisogni ambientali, sociali ed economici, ma anche di professioni già esistenti. In ogni caso, le figure più ricercate sono, si legge nel comunicato stampa, “l’auditor esperto in emissioni di gas serra in atmosfera, il tecnico superiore per industrializzazione, qualità e sostenibilità dell’industria del mobile, lo statistico ambientale, l’operatore marketing delle produzioni agroalimentari biologiche, il risk manager ambientale, l’ingegnere dell’emergenza, il progettista di architetture sostenibili e l’esperto del ciclo di vita dei prodotti industriali”.
Ma siamo in grado, in Italia, di far fronte a questa richiesta di manodopera così specializzata e settoriale? Ancora forse no, stando ai dati diffusi da Unioncamere: le imprese lamentano infatti difficoltà nel trovare il 30,3% dei profili green in senso stretto e il 28,1% delle figure riconducibili alla green economy, con la conseguenza che ben il 15% del fabbisogno rischia di rimanere insoddisfatto a causa della mancanza di competenze e professionalità.
A questo si sta cercando di ovviare attraverso una formazione specifica e altamente professionalizzante: nell’anno accademico in corso, infatti, sono stati attivati ben 193 corsi di laurea in 54 atenei sui temi della sostenibilità ambientale (di cui oltre un terzo al Sud) e sono 91 i dottorati di ricerca sul tema istituiti negli ultimi 8 anni.
Il futuro economico italiano, dunque, si tinge di verde. Approfittiamone per rilanciare l’occupazione e tenere sotto controllo anche l’impatto delle nostre attività sull’ambiente: se dovesse morire, sarà piuttosto inutile aver trovato lavoro.