DL Manovra: verso un ritorno del riacquisto dei certificati verdi ?

Forse non è ancora detta l' ultima parola sui cosiddetti certificati verdi: la Commissione Ambiente del Senato ha chiesto di rivedere l'art. 45 del D.L Manovra 2011-2012 che incide sul meccanismo dei certificati verdi per le fonti di energia rinnovabile.

Forse non è ancora detta l’ ultima parola sui cosiddetti “certificati verdi”: la Commissione Ambiente del Senato, infatti, incassando anche il parere favorevole del Ministro dell’ Ambiente Stefania Prestigiacomo, ha chiesto di rivedere l’art. 45 del D.L Manovra 2011-2012 che incide sul meccanismo dei certificati verdi per le fonti di energia rinnovabile. L’art. 45, infatti, a partire dall’anno 2009 e, quindi, in maniera retroattiva, abolisce l’ obbligo di riacqusito, da parte del GSE, dei certificati verdi in eccesso, ovvero non collocati autonomamente sul mercato.

La normativa sui certificati verdi, infatti, prevede che tutte le imprese produttrici di elettricità abbiano una quota obbligatoria di produzione di energia da fonti rinnovabili pari al 6%. Quota che si può raggiungere sia con produzione propria, sia acquistando i certificati verdi dai produttori terzi. In questo modo la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili era in ogni caso incentivata e finanziata garantendo, comunque, un margine di redditività alle aziende “verdi” che, se anche non fossero riuscite a collocare sul mercato tutti i ceritificati, avrebbero potuto contare sul riacquisto dei certificati in eccesso da parte del GSE, (Gestore Servizi Elettrici) nazionale. Un riacquisto finanziato attraverso un’apposita tariffa in bolletta.

L’abolizione dell’obbligo di riacquisto non ha mancato di sollevare molti dubbi, in primis tra gli operatori italiani della green economy, che hanno denunciato, tra i tanti, anche il pericolo di perdere molti “green jobs” i posti di lavoro verdi del settore delle rinnovabili, garantiti anche dalla “clausola di salvezza” del riacquisto dei certificati verdi. Le categorie produttive avevano trovato appoggio anche in Confindustria: “Crea dei problemi”, infatti, ha denunciato la presidente Emma Marcegaglia, auspicando che “nella manovra correttiva di settembre la misura sull’acquisto dei certificati verdi ci sia”. L’obbligo di ritiro, infatti, consentiva di mantenere in equilibrio il prezzo dei certificati verdi e la sua eliminazione metterebbe a rischio gli investimenti effettuati e quelli futuri, tanto che anche nel modo bancario ci sono timori: L’Aibe, l’associazione delle banche estere in Italia, contesta “il cambio delle regole in corso d’opera” denunciando il pericolo di avere perdite per 5 miliardi di euro.

Il petrolio è ancora la fonte più economica per produrre elettricità ma il meccanismo dei certificati verdi prevede multe per chi utilizza una quota eccessiva di fonti di produzione inquinanti, con l’obbligo, quindi, di produrre un determinato quantitativo di energia da fonte rinnovabile che, se non prodotto autonomamente, è reperibile sul mercato dalle aziende “verdi” che acquistano crediti. In questo modo i produttori di energia da fonte rinnovabile, dal fotovoltaico all’eolicoalle biomasse, hanno potuto contare su un certo quantitativo di incassi certi, consentendo l’avvio e gli investimenti di molte aziende, finanziate dalle banche che ora rischiano di avere minori introiti a causa di una generale contrazione di questo settore di mercato e, in generale, della green economy.

Il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, in una nota, ha detto di condividere “la decisione della Commissione Ambiente del Senatoe che “l’impegno del Governo a sostegno delle rinnovabili è sempre stato chiaro e incisivo e ne è prova anche la grande crescita del settore. È opportuno quindi ridiscutere una norma che potrebbe rappresentare un handicap allo sviluppo delle energie pulite nel nostro paese“. Secondo l’agenzia Reuters sarebbero quattro le ipotesi di lavoro per una revisione dell’art. 45 o, comunque, per un intervento compensativo.

  • La prima ipotesi ‘aumenterebbe la quota obbligatoria di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile in modo da ridare valore economico ai certificati verdi che sono “rimasti in mano” agli operatori in seguito al mancato riacquisto da parte del GSE.
  • Una seconda ipotesi, invece, limiterebbe il rimborso obbligatorio a tutto il 2010 compreso, facendolo coincidere con l’arrivo del nuovo sistema d’incentivazione per le fonti rinnovabili.
  • La terza ipotesi prevederebbe “sic et simpliciter” l’ abolizione dell’articolo 45 con il ritorno alla situazione precedente.
  • Infine, l’ultima possibilità prevederebbe una forma di compensazione finanziaria dei produttori, con l’intervento del sistema bancario. Resta da capire in che modo sarebbe attuato u sistema del genere che, franamente, appare un po’ macchinoso.

L’iniziativa della Commissione Ambiente del Senato, che avrebbe chiesto anche la cancellazione dell’art. 43, sulla creazione di zone cosiddette “a burocrazia zero” in cui Comuni e Regioni verrebbero espropriati di tutte le loro competenze, è stata accolta con estremo favore dai senatori del PD Della Seta e Ferrante, tra i primi a protestare per le previsioni contenute nella Manovra, in particolare per il mancato rifinanziamento anche delle detrazioni del 55% per la riqualificazione energetica degli edifici:
L’articolo 45 sui certificati verdi – spiegano i senatori – che ha causato la levata di scudi di migliaia di aziende in Italia e la contrarietà di Confindustria, ridurrebbe per i consumatori finali una spesa che è attualmente di circa 500 milioni di euro. Il dato va considerato come il trampolino di lancio grazie al quale un intero settore, quello delle rinnovabili, è riuscito ad andare in controtendenza nei mesi difficilissimi di questa congiuntura economica, con investimenti pari a 4,5 miliardi di euro. “Negli ultimi anni anche grazie ai certificati verdi l’Italia ha finalmente accorciato il suo ritardo con i Paesi europei che sull’energia pulita hanno scommesso da più tempo. Si sono creati molti posti di lavoro e si sono ridotte le emissioni inquinanti. È auspicabile che ora il governo tenga conto seriamente di queste richieste” concludono Della Seta e Ferrante.

Tra gli interventi, infine, va registrata anche la voce di Cogena, associazione delle aziende operanti nella cogenerazione, che ha espresso un parere più mediato: la cancellazione dell’art.45, infatti, secondo Cogena è necessaria per non destabilizzare il mercato, anche se ammette che la disposizione introdotta con l’ ultima manovra finanziaria ha avuto il merito di evidenziare che nel settore esiste un eccesso di offerta dovuto al regime di sostegno, tanto che i certificati verdi hanno avuto un deprezzamento che ha richiesto, nel 2008, una serie di interventi finalizzati a stabilizzare il mercato. Secondo Cogena, dunque, bisogna andare ad indagare attentamente le cause dell’eccesso di offerta e, quindi, del deprezzamento, che penalizzerebbe i produttori “veri” di energia da fonti rinnovabili ma anche i consumatori finali.

Andrea Marchetti

 

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