Si chiama Bes ed il nuovo indicatore del benessere equo e sostenibile coniato dall'Istat e dal Cnel che misura la qualità della vita non in base alla ricchezza prodotta ma al benessere e ad altri fattori ad esso legati
Si chiama Bes ed il nuovo indicatore del benessere equo e sostenibile coniato dall’Istat e dal Cnel che misura la qualità della vita non in base alla ricchezza prodotta ma al benessere e ai fattori ad esso legati e a come quest’ultimo è percepito dai cittadini.
Presentato a Roma dai presidenti delle due istituzioni, Enrico Giovannini e Antonio Marzano, alla presenza del Presidente della Repubblica Napolitano e del presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini, il Bes misura il rapporto sul benessere equo e sostenibile attraverso 134 items raggruppati in 12 domini (indicatori): salute, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, ricerca e innovazione, qualità dei servizi.
Come si legge nel documento di sintesi, il concetto di “Benessere Equo e Sostenibile” (Bes) ha come obiettivo quello di analizzare livelli, tendenze temporali e distribuzioni delle diverse componenti dell’indicatore, per identificare punti di forza e di debolezza e gli eventuali squilibri territoriali, o ancora la presenza di gruppi sociali avvantaggiati e svantaggiati.
Misurare il benessere infatti non è un atto banale e semplice, legato alla statistica perché è proprio il concetto di benessere stesso ad essere ricco di sfaccettature. Più volte sono state ipotizzate (e proposte) delle alternative al PIL, considerato spesso insufficiente per misurare le reali dimensioni del benessere. Il Pil, dunque, non basta più. Da qui la necessità di trovare uno strumento che potesse affiancarlo.
E se il PIL in questo anno indica una mancata crescita e una recessione economica, come sta il benessere degli italiani considerando i 12 indicatori del BES? Com’è facilmente intuibile, in Italia il benessere è sempre più una rarità. Le tendenze al benessere, nella maggior parte dei casi, sono scese o comunque non sono migliorate in vari settori, come mostra l’infografica:
Se si considera l’anno a cavallo tra il 2010 e il 2011, balza all’occhio il fatto che l’indicatore della grave deprivazione, ossia della difficoltà a vivere coinvolge il 5% di persone in più rispetto al passato. Ciò significa che 6,7 milioni di italiani non hanno beneficiato del benessere, ma anzi hanno constatato un serio peggioramento della loro situazione.
“Il Pil misura la crescita, ma non il benessere da garantire anche alle generazioni future – ha spiegato Giovannini – non tutto ha un prezzo: il sorriso di chi ci circonda, la solitudine, l’ansia di non avere un lavoro, l’aria che respiriamo, la biodiversità. A livello globale gli economisti e gli statistici lo hanno capito da tempo”.
Di contro però dal rapporto emerge che in due anni è aumentato l’interesse verso l’ambiente. I primi risultati del rapporto hanno messo in evidenza che il benessere delle persone è strettamente collegato allo quello dell’ambiente in cui vivono e alla stabilità e alla consistenza delle risorse naturali disponibili. Per questo, per garantire e incrementare il benessere attuale e futuro occorre ricercare la soddisfazione dei bisogni umani promuovendo attività di sviluppo che non compromettano le condizioni e gli equilibri degli ecosistemi naturali. Cosa che oggi in Italia non sempre avviene.
Ma se da una parte emergono segnali contraddittori rispetto alla qualità del suolo e del territorio con l’aumento della disponibilità di verde urbano e delle aree protette ma al tempo stesso del dissesto idrogeologico, dall’altra è incoraggiante sapere che sono aumentati i consumi di energia da fonti rinnovabili, saliti dal 15,5% del 2004 al 23,8% del 2011, un livello superiore alla media Ue27 (19,9%). Anche l’andamento delle emissioni antropiche di gas serra, derivanti dalle attività produttive e dai consumi finali delle famiglie, è in diminuzione.
Il Bes inoltre ha fotografato anche la diminuzione del consumo di carne sulle tavole degli italiani che se da una parte si può interpretare come una diretta contrazione dei consumi, dall’altro può essere vista come l’inizio di una presa di coscienza: consumare meno carne (se non convertirsi all’alimentazione vegetariana) e non eccedere a tavola può anche trasformarsi in un miglioramento della salute. Tutti dati che il Pil non sarebbe in grado di registrare.
A conferma che non sempre crescita è sinonimo di felicità.
Francesca Mancuso
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