Si è conclusa con una mezza sconfitta la conferenza sul clima di Durban. L'accordo sulla necessità di un nuovo Protocollo di Kyoto è stato trovato, ma dovrà prima passare per un regime transitorio, entro il 2015, per poi venire applicato dal 2020. E gli ambientalisti parlano già di catastrofe
Durban, accordo raggiunto. I negoziati sul clima del Sudafrica non sono stati un fallimento totale, come si temeva inizialmente. Nonostante le numerose e profonde divergenze tra i 190 paesi chiamati a rispondere del futuro del pianeta, il Protocollo di Kyoto è stato rinnovato. Anche se a partire dal 2020. Il cosiddetto Kyoto 2 infatti passerà per un regime transitorio prima di giungere ad un nuovo accordo globale cui dovranno prendere parte, forse, anche le maggiori potenze mondiali, mettendosi dietro le spalle l’attuale contrapposizione tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo. Ma le associazioni ambientaliste non sono molto soddisfatte dei risultati raggiunti a Durban questo weekend.
Entro il 2015 intanto i paesi dovranno sottoscrivere un nuovo accordo globale da applicare a partire dal 2020. E non è poco, se si considera che alcuni paesi erano piuttosto ostili ad una simile soluzione, tra essi in testa gli Stati Uniti, sostenuti anche da Canada, Australia e Nuova Zelanda, Russia e Giappone. A far pesare l’ago della bilancia a favore della necessità di un imminente accordo è stata anche l’Europa, che è riusciuta a trascinare dalla sua parte anche zoccoli duri come India e Cina.
Ma non cantiamo vittoria troppo presto. Una parvenza di accordo è stata trovata su Kyoto 2, anche se numerosi sono i punti deboli, poi evidenziati dalle associazioni ambientaliste ma è andata ancor meno bene al Green Climate Fund, di cui a Durban si è solo definita la struttura insieme alle modalità di gestione del fondo destinato a finanziare le azioni di riduzione delle emissioni e di adattamento ai mutamenti climatici nei paesi poveri.
Secondo Legambiente, nulla si è deciso riguardo ai finanziamenti promessi a Copenhagen, poi confermati a Cancun attraverso una roadmap che fosse in grado di incrementare annualmente i 10 miliardi di dollari già stanziati per il 2012, fino ad arrivare a 100 miliardi di dollari entro il 2020.
“I governi hanno raggiunto un accordo debole, che ha istituito un Fondo Verde per il Clima con ancora pochi soldi, hanno rimandato le decisioni più importanti sui contenuti del Protocollo di Kyoto e hanno preso un impegno poco chiaro per raggiungere nel 2020 un accordo globale che potrebbe lasciarci legalmente vincolati a un aumento della temperatura globale di 4° C, ben oltre i 2° C raccomandati dalla scienza per evitare un cambiamento climatico catastrofico“. Questo il commento non troppo ottimista di Legambiente.
Altra nota stonata, secondo l’associazione riguarda il mancato raggiungimento di un accordo su come colmare il cosiddetto “gigatonne gap” ossia il divario tra gli attuali impegni di riduzione delle emissioni e quelli necessari per contenere il surriscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi.
“L’Europa – ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza – da subito si deve fare promotrice, con il sostegno dell’Italia, di un piano per colmare questo gap e aggiornare al 30% il proprio impegno di riduzione delle emissioni di gas-serra al 2020. Per l’Europa si tratta di un impegno che non richiede grandi sforzi aggiuntivi e in linea con le politiche climatiche ed energetiche adottate a livello comunitario. L’Unione europea, infatti, è già a un passo dal raggiungimento dell’obiettivo del 20% al 2020 visto che nel 2010 le emissioni dei ventisette paesi Ue sono già diminuite del 15,5% rispetto al 1990“.
Non serve molto, solo qualche misura aggiuntiva per raggiungere l’obiettivo del 20% per l’efficienza energetica. Secondo recenti stime della Commissione, in questo modo sarà possibile raggiungere una riduzione interna del 25% delle emissioni di gas-serra, facilitando così il raggiungimento dell’obiettivo del 30% al 2020.
Ancor più duro Greenpeace, che ne parla in termini di fallimento. Secondo gli ambientalisti, infatti i nostri rappresentati a Durban hanno dato maggiore ascolto alle aziende inquinanti piuttosto che alla gente, che desiderava porre fine alla dipendenza dai combustibili fossili e auspicava azioni concrete e reali per la lotta ai cambiamenti climatici.
“La notizia triste è che gli Stati Uniti sono riusciti a inserire una clausola di vitale importanza che potrebbe facilmente impedire che i successivi accordi sul clima possano essere giuridicamente vincolanti. Qualosa venisse sfruttata questa scappatoia, potrebbe essere un disastro. E la possibilità di attuare l’accordo ‘dal 2020’ non lascia molto spazio all’aumentare dei tagli di carbonio in questo decennio” ha commentato Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace International.
“In questo momento il regime climatico globale ammonta a niente più che un accordo volontario” continua Naidoo. “Questo potrebbe portarci oltre la soglia dei due gradi in cui si passa dal pericolo ala potenziale catastrofe. La possibilità di evitare cambiamenti climatici catastrofici sta scivolando attraverso le nostre mani ogni anno che passa mentre le nazioni perdono la possibilità di concordare un piano di salvataggio per il pianeta.” Gli sforzi, a quanto pare, non sono bastati.
Ne è convinta anche Mariagrazia Midulla, responsabile Policy Clima ed Energia del WWF Italia che ha dichiarato: “I Governi hanno fatto il minimo indispensabile per portare avanti i negoziati, ma il loro compito è proteggere la loro gente. E in questo, qui a Durban, hanno fallito. La scienza ci dice che dobbiamo agire subito, perché gli eventi meteorologici estremi, la siccità e le ondate di caldo causate dal cambiamento climatico peggioreranno. Ma oggi è chiaro che i mandati di pochi leader politici hanno avuto un peso maggiore delle preoccupazioni di milioni di persone, mettendo a rischio le persone e il mondo naturale da cui le nostre vite dipendono. ‘Catastrofe’ è una parola dura, ma non è abbastanza dura per descrivere un futuro con 4 gradi di aumento della temperatura globale.”
Un’occasione sfumata, sparita come sabbia tra le dita, quella di Durban. La possibilità di salvare il pianeta dai disastri ambientali è ancora rinviata, a danno della Terra, che intanto continua ad essere avvelenata: “Sfortunatamente i Governi a Durban hanno speso le due cruciali giornate finali dei negoziati a discutere su una manciata di parole specifiche nei testi negoziali, invece di impegnare la loro capacità politica per stabilire azioni concrete maggiori per affrontare il cambiamento climatico. – ha detto Mariagrazia Midulla – Alcuni paesi, come gli Stati Uniti, hanno mostrato di non essere interessati a favorire un ambizioso esito dei negoziati. Gli USA, preoccupati della politica in patria, si sono battuti su alcune parole, ma hanno del tutto mancato il fine principale: limitare il cambiamento climatico più pericoloso“. Di chi sarebbe la colpa? Secondo il WWF “la responsabilità di questo fallimento va attribuita a una manciata di Governi, come Stati Uniti, Giappone, Russia e Canada, trincerati sulle loro posizioni, che hanno fortemente frenato il livello di ambizione dei negoziati“.
Cambiare rotta e anche subito, questa la proposta del WWF, prima che sia troppo tardi e soprattutto prima di venire “soffocati dal nostro stesso carbonio“.
Durban. Tempi supplementari finiti. Adesso siamo ai rigori, ed è l’ultima chance per vincere la battaglia contro i cambiamenti climatici. L’appuntamento è in Qatar per il Cop18.
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