Ancora danni, ancora un alluvione e ancora evacuati a Olbia. La pioggia caduta nella notte tra il 30 settembre e il 1° ottobre ha riempito i canali a monte della città, trasformando il ponte nella zona di Vittorio Veneto in una diga. Acqua e fango usciti dall'alveo hanno allagato le strade del quartiere di Isticcadeddu, già colpite dall'alluvione del 2013
Ancora danni, ancora un alluvione e ancora evacuati a Olbia. La pioggia caduta nella notte tra il 30 settembre e il 1° ottobre ha riempito i canali a monte della città, trasformando il ponte nella zona di Vittorio Veneto in una diga. Acqua e fango usciti dall’alveo hanno allagato le strade del quartiere di Isticcadeddu, già colpite dall’alluvione del 2013.
È allarme nella provincia di Olbia Tempio e in città. Ieri è stata inizialmente smontata la passerella per i pedoni ma non è bastato. L’intero ponte di Rio Siligheddu, costruito all’indomani dell’alluvione di due anni fa, è stato abbattuto. Il ponte era già stato distrutto dal precedente alluvione ed era stato ricostruito subito dopo.
Il Comune ha ridotto il livello di allerta da “Rosso” ad “Arancione” a partire dalle ore 6 di oggi e fino alle 23.59. Circa 40 famiglie sono state evacuate a Torpè, nel nuorese.
“In previsione della notte da trascorrere in condizioni di allerta, la popolazione è invitata a non spostarsi, se non per esigenze indifferibili, a procurarsi l’occorrente per la notte (farmaci, beni di prima necessità, ecc.) anche tenendo conto che potrebbero verificarsi black out elettrici a carico di diverse abitazioni” suggerisce il Comune.
Sono state chiuse le scuole e gli edifici pubblici. Sospese anche le visite mediche in tutti gli ospedali. Ed è tanta l’indignazione da parte dei cittadini. Il ponte ha fatto da tappo, allagando alcune zone della città.
Fa sapere il Comune che tutti i cittadini che hanno subito l’allagamento della propria abitazione e non sono in grado di soggiornarvi possono contattare il numero 0789 52184.
Ed è già polemica sul rischio idrogeologico e la prevenzione. Dice Giorgio Zampetti, responsabile del settore scientifico di Legambiente:
“Nei mesi scorsi il governo è riuscito a rendere disponibili 600 milioni di euro, su un primo piano operativo di 1,3 miliardi di euro, per avviare i cantieri in alcune delle aree metropolitane a maggior rischio. Sono un’importante e positiva novità, ma rischiano di essere insufficienti rispetto all’ingente mole di danni e alla diffusa presenza di territori a rischio in Italia ”.
Circa 6 milioni di italiani vivono o lavorano in aree ad alto rischio idrogeologico. Una condizione che interessa il 10% della superficie del territorio nazionale e l’82% dei comuni.
“Bisogna invertire le voci di spesa – prosegue Zampetti – destinando maggiori fondi alla prevenzione per diminuire i costi delle emergenze. Questo si può fare solo mettendo al primo posto la qualità nella progettazione e con un nuovo approccio. Gli interventi strutturali di difesa passiva devono lasciare il posto a misure di rinaturalizzazione o riqualificazione, delocalizzazione delle strutture presenti in aree di pertinenza fluviale o a rischio frana, favorire l‘esondazione naturale dei fiumi, incrementare la permeabilità dei suoli, laddove è stata compromessa, mantenere quanto più possibili le condizioni di naturalità degli ecosistemi o azioni di rimboschimento di versanti per la gestione delle frane.
Francesca Mancuso
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