Dissesto idrogeologico: il 13% del territorioa rischio frane. 7 miliardi per mettere in sicurezza

Nel nostro paese le frane sono oltre 486.000 e coinvolgono un’area di circa 20.700 kmq , pari al 6,9% del territorio nazionale. È quanto emerge dalle “Linee guida per la valutazione del dissesto idrogeologico e la sua mitigazione attraverso misure e interventi in campo agricolo e forestale” presentate oggi dal Ministero delle politiche agricole, dal Ministero dell'ambiente e da Agea, Ispra e Rete Rurale Nazionale

Nel nostro paese le frane sono oltre 486.000 e coinvolgono un’area di circa 20.700 kmq , pari al 6,9% del territorio nazionale. È quanto emerge dalle “Linee guida per la valutazione del dissesto idrogeologico e la sua mitigazione attraverso misure e interventi in campo agricolo e forestale” presentate oggi dal Ministero delle politiche agricole, dal Ministero dell’ambiente e da Agea, Ispra e Rete Rurale Nazionale.

E a rischio frane vi sarebbe il 13% del territorio italiano, pari a 4 milioni di ettari di terreno agricolo e forestale. Prima di dover fronteggiare un nuovo disastro ambientale, come spesso è accaduto negli ultimi anni, sarebbe necessario mettere in sicurezza il territorio. Per questo sono stati stanziati 7 miliardi spalmati nei prossimi 10 anni, nonostante ne occorrano 40.

Prevenire non solo è utile perché tutela il paese da catastrofi ma è anche vantaggioso dal punto di vista economico. Basti considerare che nel corso degli ultimi 10 anni il Ministero delle politiche agricole ha erogato circa 2 miliardi di euro alle Regioni per i danni causati da eventi alluvionali subiti dalle colture e dalle aziende agricole. Per la costante perdita di suolo agricolo e di produttività delle superfici forestali inoltre il danno è stato stimato attorno ai 2,5 miliardi di euro in 10 anni, oltre alle spese periodiche di ripristino e manutenzione gestite direttamente dai comuni. Per non parlare delle spese legate alle Ordinanze di protezione Civile per far fronte più in generale a calamità idrogeologiche: oltre 3,5 miliardi di euro.

È quanto emerge dall’analisi effettuata sul territorio montano e collinare italiano. In particolare, sempre in 10 anni, sono previste attività per più di 3,2 miliardi di euro per la protezione delle superfici a seminativo, 1,4 miliardi per la ricostruzione del potenziale ecologico, protettivo e produttivo dei boschi italiani e 1,6 miliardi di euro per la manutenzione e stabilizzazione del reticolo idrografico minore. E altri 700 milioni di euro dovranno essere invece destinati agli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, al ripristino e alla ricostruzione dei terrazzamenti agricoli.

Una migliore protezione e gestione ambientale, considerato che il 73,3% del territorio nazionale ha vocazione agricola e forestale, inciderebbe in modo significativo anche sulla manutenzione ordinaria dei territori e sulla prevenzione dei fenomeni di dissesto idrogeologico, contrastando contestualmente l’abbandono delle zone “marginali” di collina e montagna.

Più nel dettaglio, il dossier ha evidenziato che le zone a seminativo più a rischio corrispondono a circa il 23% della superficie totale nazionale per questa classe di uso del suolo, oltre 1,9 milioni di ettari, pari alla superficie del Veneto.

Per quanto riguarda i boschi, quelli ad alta e media criticità per frane e dissesti coprono il 9% e 24% della superficie boschiva nazionale pari a circa 700.000 e 1,9 milioni di ettari. Infine, le aree terrazzate con colture permanenti (vigneti, oliveti, frutteti) ad alta e media criticità per frana e perdita di suolo utile sono circa 33.000 ettari, poco meno del 40% del totale delle superfici stimate a questa destinazione.

Quali sono gli interventi prioritati? Secondo le linee guida si va dalla manutenzione e dal ripristino della rete di drenaggio superficiale nelle aree agricole alla stabilizzazione superficiale e alla protezione dei terrazzamenti in erosione, dalla riforestazione alla gestione e mantenimento in buono stato di efficienza ecologica del bosco.

I vantaggi legati a questi interventi sarebbero numerosi, tra essi la riduzione dei colmi di piena e degli eventi alluvionali, la riduzione della quantità di sedimento immessa nella rete fluviale e quindi il miglior funzionamento degli invasi artificiali idroelettrici, la conservazione della biodiversità del territorio, l’incremento dell’assorbimento di CO2 e infine lo sviluppo turistico legato anche alle produzioni di qualità.

Il finanziamento di tali avrebbe anche un risvolto occupazionale positivo perché rilancerebbe le cosiddette zone marginali.

Francesca Mancuso

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