Privatizzazione spiagge: abbassati a 20 gli anni di concessione previsti dal decreto sviluppo

Il numero di anni di concessione previsto per gli stabilimenti balneari dal nuovo dl Sviluppo è stato portato a 20 dopo le proteste dell'Ue e il no di Napolitano. Ma Legambiente, FAI e WWF Italia insorgono

Novant’anni sono troppi. Dopo le polemiche riguardanti il Decreto Sviluppo, soprattutto per le , il Governo ha fatto un passo indietro, portando a 20 il numero di anni concessi.

Ricordiamo, infatti, che il dl, se da una parte lasciava il diritto di passaggio su battigia e scogliere, il terreno o l’immobile su cui esisteva un insediamento turistico non avrebbero goduto più della concessione ma di un vero e proprio “diritto di superficie” pari a 90 anni. Tale situazione avrebbe potuto agevolare un’ulteriore cementificazione delle coste.

Ma fin da subito, il decreto sulla privatizzazione delle spiagge era stato bocciato, e da più fronti. In primo luogo dall’Ue, che lo aveva definito “ non in linea con le regole del Mercato interno, in particolare con la direttiva servizi“, essendo in conflitto secondo la Commissione con la direttiva Bolkestein del 2006 che impone la liberalizzazione dei servizi. Ma a risolvere la controversia è stato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano che con il suo No ha costretto il Governo a riconsiderare il dl sviluppo.

Intanto, alcuni sindaci hanno accolto l’appello lanciato da Legambiente diretto in primo luogo alle località premiate dalla Bandiera Blu 2011, contro la cosiddetta ‘svendita del litorale‘, e sono i primi cittadini di: Capalbio, Maratea, Villasimius, Senigallia, Noto, Otranto, Ostuni, Pollica, Favignana, Isola Capo Rizzuto e Posada.

A tal proposito, Sebastiano Venneri, vicepresidente di Legambiente ha detto: “Le località costiere che hanno puntato sulla qualità respingono al mittente il decreto del Governo. È la prova che quel provvedimento non fa bene al turismo e uccide il paesaggio. I sindaci che hanno firmato il nostro appello rappresentano, peraltro, alcuni dei comprensori turistici più importanti del Paese, con numeri di arrivi e presenze significativi. È la prova, quindi, che il turismo in Italia non ha bisogno di ulteriore cementificazione e deregulation, quanto piuttosto di qualità e tutela dell’ambiente.

Gli fanno eco il FAI, Fondo Ambiente Italiano, e il WWF Italia che hanno ribadito “come sia un bene che si torni indietro riducendo a 20 anni il diritto di superficie per le concessioni delle spiagge italiane”.

Ma è solo un inizio, perché secondo le associazioni “occorre tornare al ‘diritto di concessione‘ che è ora in vigore. È un inghippo la trasformazione del diritto di concessione in diritto di superficie che mette a rischio cementificazione le spiagge. Si vuole infatti separare la proprietà del terreno da quello che viene edificato e questo significa garantire ai privati la proprietà degli immobili, già realizzati o futuri sul demanio marittimo”.

Francesca Mancuso

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