Una recente analisi ha mostrato come tra soli 30 anni, più della metà della popolazione mondiale potrebbe essere in pericolo a causa della crisi climatica
Tra circa trent’anni, più della metà della popolazione del pianeta dovrà fare i conti con una natura gravemente ferita.
Un recente studio ha modellato gli scenari futuri possibili tenendo conto della disponibilità di acqua potabile, dell’erosione costiera e della diminuzione degli insetti preposti all’impollinazione, evidenziando come la capacità della natura di soddisfare le nostre esigenze stia diminuendo, soprattutto dove il legame tra sopravvivenza dell’uomo e natura è più forte.
I ricercatori hanno cercato di predire quale sarà la situazione nel 2050, tenendo conto della crescita demografica e dei diversi fattori che stanno peggiorando le condizioni dell’ambiente, come lo sfruttamento del suolo, la deforestazione e il continuo sviluppo dell’agricoltura, l’urbanizzazione accelerata o i cambiamenti climatici.
Infine, hanno applicato il loro modello scenari diversi, confrontando le conseguenze che si avrebbero se le società continuassero a fare affidamento sui combustibili fossili e se invece puntassero alle energie rinnovabili e allo sviluppo sostenibile.
Il lavoro, pubblicato su Science, ha concluso che nello scenario peggiore, fino a 5 miliardi di persone dovranno affrontare un maggiore inquinamento idrico, carenza di suoli per l’agricoltura e un’impollinazione insufficiente per garantire i raccolti.
Le conseguenze saranno più gravi per le popolazioni in Africa e in Asia. Quasi 2,5 miliardi di persone nell’Asia orientale e meridionale e un altro miliardo in Africa vedranno ridursi la qualità delle loro acque.
I rischi costieri saranno invece concentrati nell’Asia meridionale e settentrionale e a fare i conti con i maggiori problemi legati alla mancata impollinazione naturale saranno gli abitanti del sud-est asiatico e dell’Africa, ma la situazione sarà molto grave anche in Europa e in America Latina, dove le persone colpite potrebbero avvicinarsi a 900 milioni.
La continua perdita di natura rappresenta una minaccia gravissima, ma adottare un modello di sviluppo sostenibile potrebbe ridurre da tre a dieci volte il numero di persone colpite dal deterioramento degli ecosistemi.
Tuttavia, anche nella migliore delle ipotesi, tra 30 anni circa 500 milioni di coloro che vivono nelle zone costiere saranno soggetti a maggiori rischi legati all’erosione e alle inondazioni.
La soluzione, con tutta probabilità, non arriverà dal progresso tecnologico che consente di impollinare le colture senza insetti, depurare l’acqua dall’azoto o costruire barriere per proteggere le coste.
Queste misure non permetteranno di risolvere il problema poiché non svolgono tutte le funzioni che invece la natura svolge. La vegetazione lungo i fiumi o ai bordi dei laghi, ad esempio, contribuisce sia alla ritenzione di azoto sia a proteggere la costa e inoltre ospita animali, depura l’aria, immette acqua in atmosfera: tutte queste funzioni non possono essere implementate in una barriera costruita dall’uomo.
Inoltre, a subire maggiormente le conseguenze dell’impoverimento della natura, saranno paesi in via di sviluppo dove è impossibile l’uso di soluzioni tecnologiche, poiché troppo costose e impegnative.
La soluzione più realistica individuata dai ricercatori sembra quella di fare tesoro delle informazioni messe a disposizione da studi come questo e impegnarsi seriamente nella conservazione della natura e della biodiversità.
Per evitare lo scenario peggiore occorre adottare modelli di sviluppo che ci portino verso un futuro equo e sostenibile.
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Tatiana Maselli