Probabilmente non ne hai sentito parlare, ma l’allungamento delle rotte marittime tra Oriente e Occidente, costrette ad evitare il Canale di Suez a causa dei ripetuti attacchi terroristici, stanno portando ad aumenti del costo dei trasporti marittimi e dei tempi di percorrenza, con seri problemi per l'energia e per i prodotti deperibili. Mentre l'Italia tutta è presa a fare un simil-processo alla Lucarelli e alla Ferragni, pochi rivelano che questa lunga interruzione del trasporto marittimo potrebbe far salire i prezzi e pesare (ancora un volta) sulla nostra crescita economica
Indice
Crisi del canale di Suez, tutti dovremmo preoccuparcene. Se è vero com’è vero che una guerra non è solo una catastrofe per il Paese (o i Paesi) che la “ospitano”, è altrettanto vero che le sue ricadute si fanno sentire sul globo intero, dai prezzi al consumo alla più nefasta crisi climatica. È un circolo vizioso costoso e faticoso, e a farne le spese, quando non c’è la morte, è ogni singolo abitante di questa Terra.
Ora, ad esasperare una situazione globale già assai intricata è la “crisi del Canale di Suez”. Perché? Da quasi due secoli il Canale di Suez è la “scorciatoia” dei traffici economici più battuta. Creato per consentire la navigazione diretta dal Mediterraneo all’Oceano Indiano, senza dover necessariamente circumnavigare l’Africa sull’Oceano Atlantico (pensate che guadagno di tempi per delle economie nascenti), del Canale di Suez si serve ovviamente anche l’Italia, visto che l’export rappresenta il 40% del nostro Pil. In generale, in ogni caso, attraverso il canale di Suez di solito passa circa il 12% del commercio globale e il 9% di prodotti legati al petrolio.
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Ed eccolo, allora, il motivo per cui il sanguinoso conflitto in Medio Oriente tocca anche noi. O, quanto meno e detta nella maniera più brutale possibile, le nostre tasche.
Da settimane si sono registrati raid di Stati Uniti e Regno Unito sulle basi e le postazioni degli Houthi in Yemen in risposta agli attacchi alle navi nel Mar Rosso, diventato ormai una zona di guerra a tutti gli effetti. Ragione per cui molte navi evitano di transitare nel Canale di Suez per dirigersi verso il capo di Buona Speranza, con conseguenze sul costo dei noli. Circumnavigare attorno all’Africa richiede di fatto più tempo e più carburante.
Tutto ciò provoca quello che gli esperti chiamano “disruption nelle catene di approvvigionamento globali”. Che non è poi così complicato intuire di che si tratti. La “nuova” rotta che va da Singapore al Nord Europa richiede 10 giorni in più di navigazione, 3.500 miglia nautiche in più e 1 milione di dollari in più di carburante. E la frittata è fatta.
Il precedente
Quando nel 2021 una nave portacontainer bloccò il Canale di Suez per sei giorni, gli economisti stimarono che il commercio giornaliero per un valore fino a 10 miliardi di dollari aveva subito un arresto. Secondo Reuters, le richieste di risarcimento assicurative derivanti da quell’incidente potrebbero alla fine arrivare a superare i 2 miliardi di dollari.
Ne parlammo qui: La nave cargo Ever Given che blocca ancora il canale di Suez e i danni non sono solo economici
I rischi per l’Italia
Si calcola che oggi, su 93,8 milioni di tonnellate di merci trasportate da e verso l’Italia, 30,6 milioni hanno nel Canale di Suez il loro corridoio privilegiato (dati ISPI). Il nostro è dunque uno dei Paesi più interessati alla piena operatività del canale di Suez e specie per due ragioni. La prima è che i nostri porti sono piuttosto vicini e poi perché siamo un grande Paese esportatore e importatore di materie prime:
Tutti i rincari che ne derivano (i costi di trasporto dalla Cina sono già 4/5 volte più alti) possono senz’altro rialzare l’inflazione e causare ritardi di consegna, che per i prodotti reperibili è un grosso problema. Per quanto riguarda il peso delle merci che attraversano il canale di Suez, tra quelle che nel 2023 sono partite o arrivate in Italia il 40% è transitato da qui.
L’aumento delle bollette
L’effetto dell’allungamento dei tempi del commercio nella tratta Asia-Europa porta con sé il conseguente aumento dei prezzi delle merci trasportate e dell’energia.
Secondo Assoutenti, con la crisi di Suez c’è un autentico rischio di rincari a cascata. L’associazione dei consumatori ha calcolato, infatti, i possibili impatti sulle tasche dei consumatori e con un rincaro della benzina del 10%, l’aggravio sarebbe di 213 euro in un anno per le famiglie italiane, mentre con gli impatti sul gas le bollette lieviterebbero di 200 euro nei dodici mesi.
Perché? Perché considerati proprio i rialzi del petrolio, il rischio è che prendano sempre più forma nuovi effetti sui prezzi finali di alcuni prodotti, a cominciare da luce e gas.
Dalle mele al vino, le difficoltà alla navigazione provocate dagli attacchi degli Houthi dello Yemen contro le navi nel Mar Rosso preoccupano, infine, anche quanto alle esportazioni agroalimentari Made in Italy, con il cambiamento delle rotte, l’aumento dei costi ed il ritardo nelle spedizioni.
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