Cosa dobbiamo aspettarci per il mare dallo storico trattato Onu appena firmato

Dopo quasi due decenni di negoziati e 38 ore consecutive di colloqui, nella tarda notte di sabato a New York è stato raggiunto finalmente un accordo storico per la protezione dell’alto mare e della sua biodiversità. Ma cosa significa “alto mare” e cosa dobbiamo attenderci ora?

Anni e anni di negoziati ci sono voluti per arrivare a uno storico accordo. È l’UN Ocean Treaty, ovverossia un trattato volto alla protezione del 30% degli oceani del mondo entro il 2030. E non solo: quella protezione che d’ora in poi dovrà essere garantita andrà “al di là delle giurisdizioni nazionali”. In “alto mare”, per intenderci, che quindi non sarà più “luogo di nessuno”.

Ma cosa significa?

Innanzitutto, l’intesa, che ora dovrà essere ratificata dai Governi degli stati membri, rappresenta un punto di partenza fondamentale per raggiungere l’obiettivo 30×30, cioè proteggere il 30% della terra e del mare entro il 2030, concordato nella Convenzione sulla Diversità Biologica a Montreal (COP15). Poi c’è da chiedersi cosa effettivamente andrà a migliorare nelle nostre acque.

Cos’è l’alto mare e i punti principali del trattato

L’ultimo accordo internazionale sulla protezione degli oceani risale a 40 anni fa, quando nel 1982 fu firmata la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Fu proprio questo accordo a istituire un’area chiamata alto mare, delineando le acque internazionali in cui tutti i Paesi hanno il diritto di pescare, fare spedizioni e fare ricerca – ma solo l’1,2% di queste acque era sinora protetto. Da qui, secondo l’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN), quasi il 10% delle specie marine globali è a rischio di estinzione.

Gli ecosistemi oceanici producono la metà dell’ossigeno che respiriamo, rappresentano il 95% della biosfera del pianeta e assorbono anidride carbonica, essendo il più grande serbatoio di carbonio del mondo. Va da sé, quindi, che fino ad ora le norme frammentate e applicate in modo approssimativo che disciplinano l’alto mare hanno reso quest’area più suscettibile allo sfruttamento rispetto alle acque costiere.

L’alto mare, in definitiva, altro non è che l’area dell’oceano che si trova oltre le acque nazionali dei Paesi, ma è anche il più grande habitat sulla Terra e ospita milioni di specie. Attualmente solo poco più dell’1% dell’alto mare è protetto, ragion per cui il nuovo trattato dovrà essere in grado di fornire un percorso per istituire aree marine protette proprio in queste acque. La zona di mare a oltre 200 miglia dalle coste viene infatti considerata “di nessuno” e soltanto l’1,2% dell’Alto Mare è attualmente protetto.

Nello specifico, coprendo quasi i due terzi dell’oceano che si trova al di fuori dei confini nazionali, il trattato fornirà un quadro giuridico per la creazione di vaste aree marine protette (AMP) per proteggere dalla perdita di fauna selvatica e condividere le risorse genetiche dell’alto mare. Inoltre, istituirà una conferenza delle parti (Cop) che si riunirà periodicamente e consentirà agli Stati membri di essere tenuti a rendere conto su questioni come la governance e la biodiversità.

In più:

  • nelle nuove aree protette stabilite nel trattato verranno posti limiti alla quantità di pesca che può essere praticata
  • limiti alle rotte marittime
  • limiti alle attività di esplorazione come l’estrazione mineraria in acque profonde

L’UN Ocean Treaty passerà alla revisione tecnica e alla traduzione, prima di essere adottato ufficialmente in un’altra sessione.

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Fonte: The Guardian / IUCN

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