Coronavirus, resta nello smog e persiste in particolato e polveri sottili. Lo conferma uno studio italiano

Il coronavirus è trasportato dal particolato atmosferico. È quanto sostiene un nuovo studio condotto dalla Sima, la Società Italiana di Medicina Ambientale in collaborazione con i ricercatori dell’Università di Bari, Bologna e Trieste e dell’ateneo di Napoli Federico II.

In tutto il mondo gli scienziati stanno valutando il possibile legame tra inquinamento e coronavirus. Ne sono stati esaminati vari aspetti ma adesso la Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) sostiebe che il coronavirus sia presente nel particolato (PM).

“Questa prima prova apre la possibilità di testare la presenza del virus sul particolato atmosferico delle nostre città nei prossimi mesi come indicatore per rilevare precocemente la ricomparsa del coronavirus e adottare adeguate misure preventive prima dell’inizio di una nuova epidemia”, ha detto il professor Leonardo Setti, coordinatore del gruppo di ricerca scientifica insieme al professor Gianluigi De Gennaro e al professor Miani.

Circa un mese fa, lo stesso team di studiosi aveva pubblicato di un Position Paper sulla possibile relazione tra l’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione dell’epidemia da Covid-19.

Nello studio essi avevano evidenziato una

“relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di PM10 registrati nel periodo 10 Febbraio-29 Febbraio e il numero di casi infetti da COVID-19 aggiornati al 3 Marzo”.

E adesso la conferma sembra essere arrivata:

“La prima parte della ricerca mirava espressamente a cercare la presenza dell’RNA del SARS-CoV-2 sul particolato atmosferico. Le prime evidenze relative alla presenza del coronavirus sul particolato provengono da analisi eseguite su 34 campioni di PM10 in aria ambiente di siti industriali della provincia di Bergamo, raccolti con due diversi campionatori d’aria per un periodo continuativo di 3 settimane, dal 21 febbraio al 13 marzo”, prosegue il prof. Setti.

Nei campioni, analizzati dall’Università di Trieste, è stata notata la presenza del virus in almeno 8 delle 22 giornate prese in esame. I risultati positivi sono stati confermati su 12 diversi campioni per tutti e tre i marcatori molecolari, ossia il gene E, il gene N ed il gene RdRP, quest’ultimo altamente specifico per la presenza dell’RNA virale SARS-CoV-2.

“Possiamo confermare di aver ragionevolmente dimostrato la presenza di RNA virale del SARS-CoV-2 sul particolato atmosferico rilevando la presenza di geni altamente specifici, utilizzati come marcatori molecolari del virus, in due analisi genetiche parallele”4, conclude il coordinatore.

Secondo il team di ricerca, si tratta della prima prova che l’RNA del SARS-CoV-2 possa essere presente sul particolato suggerendo che

“in condizioni di stabilità atmosferica e alte concentrazioni di PM, le micro-goccioline infettate contenenti il coronavirus SARS-CoV-2 possano stabilizzarsi sulle particelle per creare dei cluster col particolato, aumentando la persistenza del virus nell’atmosfera come già ipotizzato sulla base di recenti ricerche internazionali. L’individuazione del virus sulle polveri potrebbe essere anche un buon marker per verificarne la diffusione negli ambienti indoor come ospedali, uffici e locali aperti al pubblico”.

Per gli scienziati ciò non significa che la presenza del coronavirus nel particolato possa essere certamente una “terza via” di contagio. Rimane il fatto che l’accertata presenza del covid-19 sulle polveri sottili possa essere un’informazione preziosa in vista della Fase 2.

“Se tutti indossiamo le mascherine, la distanza inter-personale di 2 metri è da considerarsi ragionevolmente protettiva permettendo così alle persone di riprendere una vita sociale” ha concluso Miani.

Fonti di riferimento: MedRxiv /Dire / Adnkronos

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