Decine di migliaia di delegati si sono riuniti a Baku, la capitale dell’Azerbaijan, per la COP29, la conferenza annuale sul clima delle Nazioni Unite, nella speranza di tracciare una rotta per limitare ulteriori danni ambientali. L’Azerbaijan rivendica di essere il primo petrostato al mondo, tanto che dipende ancora dal petrolio e dal gas per il 90% dei suoi ricavi dalle esportazioni. Le domande di Greta Thunberg
Ieri si è dato il via alla COP29 di Baku (dopo la rielezione di un presidente degli Stati Uniti che nega la crisi climatica) e nel primo giorno di lavori, l’attivista svedese Greta Thunberg in un accorato pezzo pubblicato sul The Guardian si chiede perché, durante una crisi climatica e umanitaria in rapida escalation, sia ancora un altro petrostato senza rispetto alcuno per i diritti umani ad ospitare un evento così importante.
Beh, ce lo siamo chiesti anche noi. Più sommessamente, certo, ma ce lo stiamo chiesti. Quello che possiamo dire è che è praticamente da sempre le Conferenze delle parti sono più che altro un greenwashing tirato a lustro, che in qualche modo danno legittimazione ai fallimenti dei Paesi ricchi nel (non) garantire un futuro vivibile e che hanno sostanzialmente consentito a regimi autoritari come l’Azerbaijan e i due precedenti– gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto – di continuare a violare i diritti umani.
Leggi anche: Così gli Emirati Arabi si ripuliscono l’immagine prima della COP28
Genocidi, ecocidi, carestie, guerre, colonialismo, crescenti disuguaglianze e un crescente collasso climatico sono tutte crisi interconnesse che si rafforzano a vicenda – scrive Greta Thunberg – e portano a sofferenze inimmaginabili. Mentre le crisi umanitarie si stanno svolgendo in Palestina, Yemen, Afghanistan, Sudan, Congo, Kurdistan, Libano, Balochistan, Ucraina, Nagorno-Karabakh/Artsakh e molti, molti altri luoghi, l’umanità sta anche violando il limite di emissioni di gas serra di 1,5°C, senza segni di reali riduzioni in vista.
A tutto ciò si aggiunge il fatto che nel 2023 le emissioni globali hanno raggiunto il massimo storico e che quest’anno è “praticamente certo” che sarà l’anno più caldo mai registrato, con eventi meteorologici estremi senza precedenti.
La destabilizzazione della biosfera e degli ecosistemi naturali da cui dipendiamo per sopravvivere sta portando a indicibili sofferenze umane e sta accelerando ulteriormente l’estinzione di massa della flora e della fauna.
L’odore del petrolio e i crimini contro l’umanità
L’odore qui è penetrante, testimonianza dell’abbondanza di combustibili fossili in questo piccolo Paese sulle rive del Mar Caspio.
Le fiamme delle raffinerie illuminano il cielo notturno e la città è punteggiata da minuscoli pozzi petroliferi “a forma di asino che annuisce” che sollevano e abbassano i loro pistoni mentre estraggono dalla terra. Anche il simbolo nazionale è una fiamma a gas, simboleggiata dalla forma di tre grattacieli che svettano sulla città.
L’Azerbaijan è stato costruito sul petrolio sin dal metà del XIX secolo e i combustibili fossili costituiscono ora il 90% delle sue esportazioni, motivo per cui non ha certo l’ambizione di intraprendere azioni per il clima. Anzi: il Paese sta pianificando di espandere la produzione di combustibili fossili, il che è completamente incompatibile con il limite di 1,5°C e gli obiettivi degli Accordi di Parigi.
Molti partecipanti alla COP di quest’anno hanno paura di criticare il Governo che li ospita. Human Rights Watch ha recentemente pubblicato una dichiarazione in cui spiega come non si possa essere certi che i diritti dei partecipanti a protestare pacificamente saranno garantiti. Inoltre, le frontiere terrestri e marittime dell’Azerbaijan rimarranno chiuse durante la Conferenza, rendendo possibile viaggiare dentro e fuori il Paese solo per via aerea (il che causa inquinamento).
Il regime dell’Azerbaijan è colpevole di pulizia etnica – continua Thunberg – blocchi umanitari e crimini di guerra, oltre che di repressione della propria popolazione e di repressione della società civile del Paese. L’osservatorio indipendente Freedom House classifica il Paese come lo stato meno democratico che ha un regime che prende di mira giornalisti, media indipendenti, attivisti politici e civici e difensori dei diritti umani. L’Azerbaijan rappresenta anche circa il 40% delle importazioni annuali di petrolio di Israele, alimentando così la macchina da guerra israeliana ed essendo complice del genocidio in Palestina e dei crimini di guerra di Israele in Libano. I legami tra Azerbaijan e Israele sono reciprocamente vantaggiosi, in quanto la maggior parte delle armi utilizzate durante la seconda guerra del Nagorno-Karabakh e probabilmente quelle utilizzate nell’operazione militare del settembre 2023 nella regione del Karabakh sono state importate da Israele.
Stand Against Authoritarianism, Greenwashing, War, and Capitalist Exploitation!
Place: Tbilisi, Georgia, Liberty Square (Pushkin Park)
Time: 19:00 local time, November 11th.Join us as we rally against the wave of authoritarianism and exploitation sweeping through the Caucasus.… pic.twitter.com/NakZyNaRA8
— Greta Thunberg (@GretaThunberg) November 10, 2024
Come ha fatto l’Azerbaijan ad ospitare il vertice sul clima?
Era il turno dell’Europa dell’Est. Ma la Russia ha posto il veto agli Stati membri dell’Ue, quindi le opzioni erano o l’Armenia o l’Azerbaijan. L’Armenia ha revocato il suo veto contro l’Azerbaijan e ha sostenuto la sua richiesta in cambio del rilascio dei prigionieri, ma un gran numero di prigionieri politici armeni è ancora detenuto.
L’anno scorso, il critico del regime Gubad Ibadoghlu fu imprigionato dopo aver criticato l’industria dei combustibili fossili dell’Azerbaijan. Tra gli altri prigionieri politici figurano l’attivista per la pace Bahruz Samadov, il ricercatore sulle minoranze etniche Iqbal Abilov, gli attivisti politici Akif Gurbanov e Ruslan Izzatli e i giornalisti – spiega Greta Thunberg. Nel frattempo, l’Ue continua ad acquistare combustibili fossili dall’Azerbaigian e prevede di raddoppiare le importazioni di gas fossile dal paese entro il 2027.
La crisi climatica riguarda non solo la protezione del clima e della biodiversità, ma anche quella dei diritti umani. Non si può pretendere di avere a cuore la giustizia climatica se si ignorano le sofferenze dei popoli oppressi e colonizzati di oggi. Non possiamo scegliere di chi prendersi cura dei diritti umani e chi lasciarsi alle spalle.
Giustizia climatica significa giustizia, sicurezza e libertà per tutti.
Non vuoi perdere le nostre notizie?
- Iscriviti ai nostri canali Whatsapp e Telegram
- Siamo anche su Google News, attiva la stella per inserirci tra le fonti preferite
Leggi anche: