La Cop21 si è appena conclusa. L'atteso accordo volto a contenere le temperature all'interno dei 2°C è stato raggiunto. Pur ammettendo che si tratta di un momento davvero storico, quello della piena presa di coscienza dei rischi a cui andiamo incontro, il Paris Agreement, legalmente vincolante sottoscritto il 12 dicembre, offre una reale barlume di speranza, anche se non sarà ancora sufficiente ad evitare le conseguenze irreversibili del cambiamento climatico
La si è appena conclusa. L’atteso accordo volto a contenere le temperature all’interno dei 2°C è stato raggiunto. Pur ammettendo che si tratta di un momento davvero storico, quello della piena presa di coscienza dei rischi a cui andiamo incontro, il Paris Agreement, legalmente vincolante sottoscritto il 12 dicembre, offre una reale barlume di speranza, anche se non sarà ancora sufficiente ad evitare le conseguenze irreversibili del cambiamento climatico.
Si tratta però di un primo passo avanti, un impegno globale e finalmente condiviso per limitare i cambiamenti climatici. Ma pur sempre un punto di partenza. Per la prima volta nella storia, il mondo è unito per tagliare l’inquinamento, limitando il ricorso ai combustibili fossili e optando per soluzioni energetiche più intelligenti in grado di alimentare il nostro futuro senza mettere a repentaglio il pianeta.
Ecco in sintesi i contenuti dell’accordo. In primo luogo, i paesi dovranno sostenere gli impegni ambiziosi sottoscritti a Parigi, sostenendo i paesi in via di sviluppo per l’effettiva attuazione dell’Accordo. Grande assente il target quantitativo di riduzione delle emissioni da raggiungere entro il 2050, anche se si parla di raggiungere la “neutralità” delle emissioni nella seconda metà del secolo.
Sono stati introdotti due meccanismi: uno di mercato, finalizzato alla riduzione delle emissioni di gas serra e uno non di mercato, con un approccio integrato che vada a interessare azioni di mitigazione, adattamento, capacity building, trasferimento tecnologico.
È stabilito l’obiettivo globale di incrementare la capacità adattativa, di rafforzare la resilienza e di ridurre la vulnerabilità ai cambiamenti climatici.
Ma non è tutto così semplice e lineare. Ecco i pro e i contro del nuovo accordo raggiunto durante la Cop21.
PRO
È vero, ci stiamo muovendo verso un’economia globale a basse emissioni di carbonio in cui il futuro appartiene a coloro che investono in modi per rendere le nostre case, le auto e i luoghi di lavoro più efficienti e per produrre l’energia fonti rinnovabili.
Anche il livello di ambizione sembra essere stato all’altezza delle aspettative iniziali. È stato infatti riconfermato l’obiettivo del mantenimento dell’aumento di temperatura media globale al di sotto dei 2°C, ma sforzandoci di raggiungere un obiettivo più ambizioso, quello di 1.5°C.
Fino ad oggi, le temperature medie globali sono aumentate di circa 1 grado rispetto ai livelli pre-industriali, con livelli da record negli ultimi 50 anni.
Maggiori controlli in itinere. Questo punto invita le nazioni a valutare i progressi ogni due anni e ad aggiornare i nuovi contributi nazionali volontari ogni cinque anni, facendo in modo che siano i più ambiziosi possibili, tenendo conto delle responsabilità comuni ma differenziate e delle rispettive capacità.
Per la prima volta, i paesi devono fare un vero e proprio inventario delle loro principali fonti di inquinamento e condividerle con il resto del mondo. I paesi dovranno monitorare le emissioni di carbonio, con metodi di misura standard soggetti a esperti internazionali, e riferire periodicamente sui progressi in atto per ridurre tali emissioni.
La differenziazione è parte dell’accordo. Sono stati infatti utilizzati tre termini diversi nell’indicare le diverse responsabilità. Ai paesi sviluppati spettano “obiettivi di riduzione” mentre ai paesi in via di sviluppo si richiedono “sforzi di mitigazione”.
L’accordo prevede un fondo di investimento pubblico e privato per un totale di almeno 100 miliardi di dollari l’anno, a partire dal 2020, per aiutare i paesi a basso reddito a proteggersi dalle minacce legate al cambiamento climatico globale e ad investire nelle energie pulite in modo da migliorare la vita dei loro abitanti.
È stato inoltre inserito ex novo un articolo basato sulla consapevolezza e la partecipazione pubblica.
CONTRO
I 2°C fin dall’inizio della Cop21 non convincevano tutti. La scienza sostiene che dobbiamo tenere il riscaldamento globale al di sotto questa soglia per evitare i peggiori impatti dei cambiamenti climatici. Anche così, però, le comunità costiere e le nazioni insulari sarebbero a rischio di catastrofi ambientali e subirebbero i gravi effetti legati all’innalzamento dei livelli del mare. Ecco perché è importante cercare di stare sotto la soglia dia 1,5°C. Le promesse fatte finora però non sembrano concretamente puntare in quella direzione. Nella migliore delle ipotesi riusciremo a contenere le temperature entro i 2°C.
Per mantenere le temperature al di sotto della soglia, occorre evitare l’immissione in atmosfera di oltre 7,04 miliardi di tonnellate. Di fatto, siamo in grado di ridurle della metà.
Per Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente “gli impegni già annunciati alla vigilia della COP, secondo le prime valutazioni, se rigorosamente attuati sono sufficienti a ridurre soltanto di un grado circa il trend attuale di crescita delle emissioni di gas-serra, con una traiettoria di aumento della temperatura globale che si attesta verso i 2.7- 3°C. Non consentono, quindi, di contenere il riscaldamento del pianeta ben al di sotto della soglia critica dei 2°C, e ancor meno rispetto al limite di 1.5°C. È cruciale, pertanto, una revisione di questi impegni non oltre il 2020 e purtroppo l’accordo lo prevede solo su base volontaria, rimandando al 2023 la prima verifica globale degli impegni. È invece urgente farlo prima del gennaio 2021, quando il nuovo accordo sarà operativo”.
Vago l’obiettivo per ridurre le altre emissioni di gas serra di origine antropica durante il secolo (metano e altri gas che intrappolano il calore).
Mano leggera anche sugli impegni per ridurre le emissioni derivanti dalla deforestazione e dalla degradazione delle foreste (REDD+).
Gli stati sviluppati hanno inoltre dichiarato che saranno disposti a supportare il processo di Carbon Neutrality per i Paesi in via di sviluppo e finanzieranno il Green Climate Fund (GCF) ealtre iniziative ma in modo volontario.
Resta insoluta anche la questione del massiccio contributo dell’agricoltura alla produzione dei gas serra, con il sistema degli allevamenti che causa il rilascio in atmosfera di una percentuale di emissioni climalteranti compresa tra il 18% e il 51% di tutte quelle riferibili alle attività antropiche.
Un momento storico che potrebbe sì avviare il cambiamento ma che sicuramente dovrà basarsi su un altro tipo di rivoluzione, che non passa per gli accordi internazionali ma che vede nella società civile la vera protagonista.
Per leggere l’accordo clicca qui
Francesca Mancuso
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