La COP16 di Cali ha registrato progressi limitati su alcuni sulla condivisione delle risorse genetiche e sul ruolo dei popoli indigeni nel processo negoziale, ma si è conclusa senza un'intesa sul fondamentale tema dei finanziamenti per la biodiversità. Il mancato raggiungimento di un accordo compromette gli sforzi globali per la conservazione della natura e solleva interrogativi sul futuro della governance ambientale globale
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La sedicesima Conferenza delle Parti (COP16) sulla biodiversità, tenutasi a Cali, in Colombia, si è conclusa con un bilancio deludente. Nonostante l’urgenza di agire per contrastare la perdita di biodiversità – più di un terzo delle specie di alberi conosciute e catalogate sono a rischio estinzione – il summit non è riuscito a raggiungere un accordo su uno dei punti più cruciali: i finanziamenti per la tutela della natura.
Un vertice di progressi limitati (quando ci sono)
La COP16 si è aperta con l’obiettivo di valutare i progressi compiuti dopo l’adozione del Global Biodiversity Framework (GBF) alla COP15 di Montréal. Il GBF ha fissato 23 ambiziosi obiettivi per il 2030, tra cui la protezione del 30% delle aree terrestri e marine del Pianeta, la riduzione del tasso di estinzione delle specie di almeno dieci volte e l’eliminazione dei sussidi dannosi per la biodiversità.
A Cali, i delegati provenienti da 196 Paesi hanno discusso per due settimane, confrontandosi su temi cruciali come i piani nazionali per la biodiversità (NBSAP), la condivisione dei benefici derivanti dalle risorse genetiche di piante e animali (Dsi, Digitial sequence information) e il ruolo più “decisivo” dei popoli indigeni nel processo negoziale.
Sul fronte degli NBSAP, i risultati sono stati modesti. Solo 44 Stati (meno del 25% del totale) hanno presentato i loro piani entro la conclusione della COP16, mentre altri 115 si sono limitati a presentare degli obiettivi nazionali, senza specificare le azioni concrete per raggiungerli. Questo dato, unito alla mancanza di un meccanismo vincolante per il monitoraggio e la revisione degli obiettivi, solleva seri dubbi sulla capacità dei paesi di tradurre gli impegni globali in azioni concrete a livello nazionale.
La COP16 ha registrato progressi sul tema delle informazioni genetiche digitali (DSI), approvando il “Fondo Cali” per la condivisione dei benefici derivanti dal loro utilizzo, in particolare nel settore farmaceutico. Tuttavia, l’accordo presenta alcuni punti critici, come la natura volontaria dei pagamenti da parte delle aziende. Nonostante le stime indichino che il fondo DSI potrebbe raccogliere fino a 1 miliardo di sterline all’anno, l’assenza di un meccanismo vincolante rischia di limitarne l’efficacia. Inoltre, l’accordo non prevede alcun obbligo per le aziende di dimostrare di non aver utilizzato DSI nei loro prodotti, una lacuna che potrebbe favorire il fenomeno della biopirateria.
Un altro passo avanti, definito “storico” da alcuni osservatori, riguarda il riconoscimento del ruolo dei popoli indigeni nella conservazione della natura. La COP16 ha stabilito la creazione di un organo sussidiario con partecipazione indigena, garantendo loro maggiore influenza nei processi decisionali. Questa decisione rappresenta un importante riconoscimento del ruolo cruciale che le comunità indigene svolgono nella protezione della biodiversità, basandosi su secoli di conoscenza tradizionale e pratiche sostenibili.
Tuttavia, l’assenza di un accordo sui finanziamenti e le incertezze sul monitoraggio degli obiettivi hanno oscurato i progressi raggiunti, mettendo in serio pericolo gli sforzi globali per la conservazione della natura.
Lo stallo sui finanziamenti
Il punto di rottura della COP16 è rappresentato dalla mancanza di un’intesa sui finanziamenti per la biodiversità. I paesi in via di sviluppo, che ospitano la maggior parte della biodiversità mondiale e subiscono in modo sproporzionato gli effetti del cambiamento climatico, hanno chiesto l’istituzione di un nuovo fondo con una governance più equa, che garantisca loro maggiore controllo sulle risorse. La richiesta è motivata dalla sfiducia nei confronti del Global Environment Facility (GEF), l’attuale meccanismo finanziario per la biodiversità, considerato troppo influenzato dai Paesi donatori. Nonostante alcuni Paesi, tra cui Canada, Danimarca e Germania, abbiano promesso contributi per un totale di 396 milioni di dollari al GBFF, le risorse effettivamente stanziate sono pari a soli 244,62 milioni di dollari, una cifra ben lontana dall’obiettivo di mobilitare 30 miliardi di dollari l’anno entro il 2030.
Gli Stati più ricchi, invece, si sono mostrati riluttanti a creare un nuovo fondo, preferendo rafforzare il Global Biodiversity Framework Fund, istituito alla COP15. Tuttavia, questo fondo non ha finora risposto alle aspettative, raccogliendo solo 400 milioni di dollari all’anno, a fronte di un obiettivo di 200 miliardi di dollari entro il 2030. Questa cifra è ben lontana dai 700 miliardi di dollari che, secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), sarebbero necessari ogni anno per affrontare la crisi della biodiversità.
La mancanza di un accordo sui finanziamenti rischia di compromettere seriamente l’attuazione del GBF. Senza adeguate risorse finanziarie, i Paesi in via di sviluppo avranno difficoltà ad attuare i propri piani per la conservazione della natura, e gli obiettivi globali per la protezione della biodiversità saranno irraggiungibili.
La COP16 si conclude con un rinvio
La COP16 si è conclusa con un rinvio al prossimo anno delle decisioni più importanti, tra cui proprio la questione dei finanziamenti. Questo ritardo è un segnale preoccupante che mette a rischio il futuro della biodiversità globale e solleva interrogativi sulla capacità della comunità internazionale di affrontare le sfide ambientali con la necessaria urgenza e determinazione.
La crisi della biodiversità è una crisi globale che richiede una risposta globale e coordinata. La COP16 ha dimostrato ancora una volta le difficoltà nel raggiungere un consenso su questioni chiave come i finanziamenti e il monitoraggio degli obiettivi. La mancanza di volontà politica e gli interessi contrastanti tra paesi ricchi e paesi in via di sviluppo risultano essere ancora ostacoli insormontabili.
La COP17, che si terrà in Turchia nel 2024, rappresenta un’occasione cruciale per rimediare agli errori della COP17, che si terrà in Turchia nel 2024, rappresenta un’occasione cruciale per rimediare agli errori della COP16 e dare una risposta concreta alla crisi della biodiversità. Affinché la COP17 non sia un ennesimo fallimento, è necessario che i governi superino le resistenze e gli egoismi nazionali e trovino soluzioni condivise e efficaci per finanziare la conservazione della natura.
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