Cop15, c’è qualcuno in ascolto? Siamo di fronte a una catastrofe ecologica, con co-estinzioni di massa entro fine secolo

Mentre quasi 3mila scienziati firmano una lettera accorata per chiedere di raggiungere obiettivi ambiziosi per "fermare e invertire la perdita di biodiversità e mettere la natura sulla strada del recupero entro il 2030" alla COP15, un nuovo studio (il primo nel suo genere) che vede un importante contributo italiano, il primo del suo genere, ci mostra la realtà terribile che sta per dispiegarsi sotto i nostri occhi: una serie di co-estinzioni di massa a catena che ci faranno perdere una specie su 10 entro fine secolo. Un quadro drammatico che dovrebbe avere spazio sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo ed essere in cima alle agende politiche. Adesso!

La Terra sta per perdere oltre un decimo delle sue specie vegetali e animali entro la fine del secolo. L’allarme, devastante, è contenuto in una nuova ricerca, guidata da uno studioso italiano, realizzata utilizzando un supercomputer per modellare una Terra sintetica completa di specie virtuali per comprendere l’effetto che il riscaldamento globale e il cambiamento dell’uso del suolo potrebbero avere sulla rete della vita.

I ricercatori affermano che il 6% delle piante e degli animali scomparirà entro il 2050 se lo scenario delle emissioni verso il quale il mondo sembra dirigersi non cambierà. La percentuale salirà fino a ben il 13% entro la fine del secolo. Nello scenario peggiore del riscaldamento globale, i ricercatori ora stimano che il 27% delle piante e degli animali potrebbe scomparire entro il 2100.

“Questo studio è unico perché tiene conto anche dell’effetto secondario sulla biodiversità, stimando l’effetto delle specie che si estinguono nelle reti trofiche locali al di là degli effetti diretti. I risultati dimostrano che le interconnessioni all’interno delle reti alimentari peggiorano la perdita di biodiversità”, ha affermato il primo autore il prof. Giovanni Strona del Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea.

Insomma, un’accelerazione a cascata di estinzioni nei prossimi decenni che dovrebbe allarmarci ma che, invece, purtroppo, molto più probabilmente, passerà sotto silenzio. Il punto è che i predatori perderanno le loro prede, i parassiti perderanno i loro ospiti e l’aumento della temperatura farà totalmente crollare la rete della vita terrestre. Ripetiamo e rileggiamo, di nuovo: siamo davanti a un rischio enorme e sempre più concreto di di co-estinzioni di massa.

“Sebbene la teoria identifichi le co-estinzioni come uno dei principali motori della perdita di biodiversità, il loro ruolo su scala planetaria deve ancora essere stimato. Abbiamo sottoposto un modello globale di reti alimentari di vertebrati terrestri interconnesse a cambiamenti climatici e di utilizzo del suolo futuri (2020-2100).

Prevediamo una riduzione media del 17,6% (± 0,16% SE) della diversità locale dei vertebrati a livello globale entro il 2100, con co-estinzioni che aumentano l’effetto delle estinzioni primarie del 184,2% (± 10,9% SE) in media in uno scenario di emissioni intermedie.

Le comunità perderanno fino alla metà delle interazioni ecologiche, riducendo così la complessità trofica, la connessione di rete e la resilienza della comunità. Il modello rivela che il prezzo estremo del cambiamento globale per la diversità dei vertebrati potrebbe essere di secondaria importanza rispetto ai danni alla struttura della rete ecologica”, si legge nell’abastract.

Sono parole che vorremmo vedere sulle prime pagine di tutti i giornali e in cima a tutte le agende politiche del mondo.

Un grido di allarme che arriva mentre quasi 3.000 scienziati chiedono un’azione per fermare la distruzione della natura negli ultimi giorni dei negoziati alla Cop15. Hanno scritto una lettera aperta per nel tentativo di spingere per azioni concrete che fermino e invertano la perdita di biodiversità entro 8 anni.

Sì, perché questo è ancora possibile, se agiamo ora con decisione, fissando target importanti al 2030.

“Noi, come ricercatori che lavorano in questo campo, siamo uniti nel concordare che il pieno recupero della biodiversità richiederà molti decenni – nella misura in cui è persino possibile, dato il nostro ritmo attuale di estinzione e di degrado dell’ecosistema. Tuttavia, la ripresa al punto in cui l’umanità può prosperare su un pianeta sano, con le principali funzioni dell’ecosistema alla base operative, è realizzabile entro il 2050. Ad esempio, Jones e Schmitz hanno analizzato 240 studi e hanno scoperto che il recupero spesso richiede solo 10-20 anni, con risultati simili in alcuni sistemi marini”.

Ad esempio, sottolinea il Science Panel per l’Amazzonia, per la foresta pluviale più importante del mondo il rischio di un punto di non ritorno è molto vicino. E minerebbe qualsiasi percorso per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi.

“Lo dobbiamo a noi stessi e alle generazioni future: non possiamo più aspettare”, si legge nella lettera. Dobbiamo farlo ora e lo dovremmo urlare tutti, con forza.

Tutti i giornali del mondo non dovrebbero che parlare di questo. Adesso.

Fonte: Science Advances. Phys.com

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