COP15: ne avete mai sentito parlare su giornali e dai tg? Siamo abbastanza sicuri che la risposta è no, ma non siete affatto gli unici. Nel nostro Paese questo summit sulla biodiversità è passato in sordina, nonostante si sia appena concluso con un accordo globale cruciale per le sorti future di milioni di specie vegetali e animali che vivono sulla Terra e anche per noi essere umani
Ieri si è conclusa a Montréal (in Canada) la COP15, ovvero la conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità. Dopo due settimane di riunioni e negoziazioni, si è giunti ad un’intesa storica grazie alla quale i Paesi aderenti si sono impegnati ad arrestare la perdita di biodiversità, una delle più gravi minacce del nostro tempo.
Non c’è mai stato un obiettivo di conservazione a livello globale di questa portata – ha commentato Brian O’Donnell, direttore del gruppo di conservazione Campaign for Nature. – Questo ci mette in condizione di salvaguardare la biodiversità dal collasso.
Ma perché è così importante e quali sono i punti salienti?
L’Accordo Kunming-Montreal, definito un “patto di pace con la natura”, prevede di trasformare il 30% della terre emerse, dei mari e degli oceani aree protette entro il 2030. Attualmente, infatti, si trovano sotto protezione rispettivamente il 17% e il 10% delle aree terrestri e marine del mondo. Inoltre, nell’accordo si sottolinea la necessità di ripristinare il 30% delle zone della Terra degradate a causa delle attività antropiche, sempre entro la fine del decennio.
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Protagonisti dell’intesa anche i popoli indigeni, i cui territori e pratiche tradizionali vengono riconosciuti come oggetto di tutela dagli Stati che hanno preso parte al summit. In programma c’è, inoltre, un aumento dei fondi economici destinati agli Stati in via di sviluppo, in particolare quelli insulari: entro il 2025 saranno sbloccati almento 30 miliardi di dollari, mentre per il 2030 si prevede lo stanziamento di ulteriori 30 miliardi di dollari.
Uno dei punti dell’accordo riguarda, invece, i famigerati pesticidi. I Paesi che hanno partecipato alla COP15 si impegneranno a ridurre del 50% i rischi connessi a queste sostanze pericolose per l’ambiente e la salute umana, oltre a eliminare o rivedere entro il 2030 quelle sovvenzioni che danneggiando la biodiversità.
Infine, è confermato l’obiettivo di prevenire l’introduzione di specie esotiche invasive prioritarie e ridurre di almeno la metà l’introduzione e l’insediamento di altre specie esotiche invasive note o potenziali ed eradicare o controllare le specie esotiche invasive su isole e altri siti prioritari
I punti deboli dell’accordo globale
L’accordo è indubbiamente ambizioso e rappresenta un enorme passo avanti a favore della tutela degli ecosistemi e di conseguenza della nostra stessa vita. Purtroppo, però, non mancano le criticità. Leggendo le varie misure inserite nel patto emergono alcune criticità. La più lampante è quella relativa al sistema di monitoraggio. Chi vigilerà sui passi avanti compiuti dai diversi Paesi a tutela della biodiversità? La risposta è deludente, visto che l’accordo non prevede un meccanismo di vigilanza. Il timore è quindi, che queste belle promesse non vengano mantenute.
Un altro punto debole è quello relativo al mondo delle imprese. Le grande aziende non saranno obbligate ad impegnarsi a ridurre il loro impatto sulla biodiversità. Queste vengono soltanto “incoraggiate” a fare di più. Al punto 15 dell’accordo si legge infatti:
“adottare misure legali, amministrative o politiche per incoraggiare e consentire le imprese, e in particolare per garantire che le grandi imprese e le istituzioni finanziarie transnazionali:
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monitorino, valutino e divulghino regolarmente i loro rischi, dipendenze e impatti sulla biodiversità, compresi i requisiti per tutte le grandi società e le istituzioni finanziarie transnazionali relativi alle loro operazioni e catene di approvvigionamento
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forniscano le informazioni necessarie ai consumatori per promuovere modelli di consumo sostenibili
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riferiscano dati sulla conformità ai regolamenti e sulle misure in materia di accesso e ripartizione dei benefici, a seconda dei casi
Un’altra questione da approfondire è quella relativa alle comunità indigene. L’accordo ha riconosciuto l’importanza di tutelare le loro terre e le loro tradizioni, ma ciò non è sufficiente per salvarli dell’estinzione.
I popoli indigeni sono i custodi più capaci e consapevoli della natura. C’è un grande potenziale per un’efficace protezione della biodiversità se le popolazioni indigene ricoprono ruoli di leadership. Le tutele basate sui diritti dei nativi sono il futuro della conservazione e i finanziamenti diretti alle popolazioni indigene sono un passo successivo fondamentale – sottolinea An Lambrechts, a capo della delegazione di Greenpeace alla COP15 – Nel complesso, tuttavia, il vertice non è riuscito a fornire l’ambizione, gli strumenti o i finanziamenti necessari per fermare un’estinzione di massa.
L’obiettivo 30×30, di proteggere almeno il 30 per cento della terra e del mare entro il 2030 è stato accolto con successo, ma è ridotto all’osso, senza le specifiche essenziali per escludere le attività dannose dalle aree protette. Così com’è, è solo un numero vuoto, con tutele solo sulla carta”.
In ultimo non possiamo non domandarci: i fondi previsti per le popolazioni più vulnerabili e soggetti alla perdita di biodiversità e per i territori più a rischio saranno davvero sufficienti a invertire la rotta? Difficile crederci…
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Fonti: COP15/WWF/Greenpeace
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