La guerra della Russia all’Ucraina ha rivelato, in modo brutale, la dipendenza dell’Europa dai combustibili fossili, in particolare dal petrolio e dal gas russi. Nel bel mezzo di una crisi energetica, i governi dell’Ue chiedono molta più azione — e adattamento — ai singoli cittadini che ai settori industriali, che invece consumano la parte del leone delle materie prime fossili e dell’energia fossile, mentre ignorano completamente l'enorme potenziale di riduzione del consumo di combustibili fossili contrastando l'uso non necessario
L’industria petrolchimica è il principale fattore di aumento della domanda di petrolio e di gas a livello globale, alimentando la crisi climatica e i suoi impatti disastrosi sulle comunità e sugli ecosistemi più vulnerabili. In Europa, insomma, il maggiore consumo di petrolio, gas ed elettricità è legato alla produzione della plastica.
A dirlo è il nuovo rapporto di Break Free From Plastic (di cui fanno parte oltre 190 tra organizzazioni non governative e singoli cittadini) e del Center for International Environmental Law (Ciel), “Winter is coming, plastic has to go” (L’inverno sta arrivando: la plastica deve andare), in cui si affronta esattamente questo problema e si sottolinea l’urgente necessità di ridurre la produzione di plastica per ridurre la dipendenza dell’Europa dai combustibili fossili, e in particolare dal petrolio e dal gas russi.
Se l’Unione europea riuscisse, entro il 2030, a dimezzare la quantità di imballaggi in plastica immessi sul mercato, arrivando a un tasso di riciclo del 90% , potrebbe ridurre i consumi di gas e petrolio, rispettivamente, di 6,2 miliardi di metri cubi e di 8,7 milioni di tonnellate rispetto a quelli del 2020, si legge nel report.
Il rapporto
Quello della produzione della plastica, oltre ad essere il settore in cui viene consumata più energia di tutta l’industria petrolchimica, è in assoluto il settore nel quale si utilizzano più petrolio, gas ed elettricità in Unione europea. Più di quanto non si faccia in altre industrie ad alta intensità energetica come quella alimentare, dell’acciaio e della produzione automobilistica.
Nell’Ue nel 2020, il 38% del gas e il 22% del petrolio provenivano dalla Russia, il che rende l’industria petrolchimica ad alta intensità energetica dipendente in modo significativo dai combustibili fossili russi.
Solo gli imballaggi, che ne rappresentano una fetta del 40% (oltre 22 milioni di tonnellate), portano via circa 10 miliardi di metri cubi di gas fossile (il consumo di metano della sola Ungheria nel 2020) e 14 milioni di tonnellate di petrolio (quanto hanno consumato insieme Svezia e Danimarca).
Insieme, Belgio, Germania, Spagna, Francia, Italia, Paesi Bassi e Polonia sono responsabili del 77% di tutti i rifiuti di imballaggio in plastica nell’Ue.
Raggiungere riduzioni del 50% negli imballaggi in plastica e del 90% nel riciclaggio porterebbe a una riduzione di 6,2 miliardi di metri cubi di gas fossile e 8,7 milioni di tonnellate di petrolio a livello UE rispetto al 2020. Queste cifre sono l’equivalente del petrolio finale della Repubblica Ceca e consumo di gas nel 2020.
Le possibili soluzioni
Secondo il rapporto, per riconquistare la leadership internazionale nella lotta alla crisi climatica e di inquinamento da plastica e per proteggere i suoi cittadini dall’aumento dei prezzi e dai conflitti che ne derivano, l’Ue deve affrontare e ridurre drasticamente la produzione di plastica vergine. Uno scenario business as usual, in cui l’industria della produzione di plastica prevede di raddoppiare la produzione di gas e petrolio è una soluzione incompatibile con il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal dell’Unione europea.
Solo dimezzando gli imballaggi in plastica immessi sul mercato entro il 2030 nella revisione della direttiva – si spiega nel rapporto – si potrebbero potenzialmente ridurre di un quinto i combustibili fossili destinati alla produzione di plastica.
Significherebbe – si legge – una riduzione del 4% del consumo industriale di gas fossile nell’Ue rispetto al consumo nel 2020, ossia 5 miliardi di metri cubi, all’incirca quanto il consumo finale di gas, sempre nel 2020, della Repubblica Ceca o della Slovacchia.
Nei grandi Paesi produttori di plastica si tratterebbe di una riduzione del consumo industriale di gas fossile pari al 7% in Belgio, al 5% in Germania e al 9% nei Paesi Bassi. Per il consumo industriale di petrolio e prodotti petroliferi, si stima una riduzione potenziale del 6% nell’Ue (6 milioni di tonnellate di petrolio), del 13% in Belgio, dell’8% in Germania e del 14% nei Paesi Bassi. Per l’Italia se la percentuale di riduzione del consumo di gas si ferma all’1,69% (su quello industriale), quella del petrolio è del 5,2%.
A questi, vanno aggiunti i risparmi che si ricaverebbero riuscendo ad arrivare, entro il 2030, al 90% degli imballaggi di plastica riciclato meccanicamente in modo sicuro in nuovi imballaggi: si potrebbero risparmiare oltre 6 miliardi di metri cubi di gas (per l’Italia il 2% del consumo industriale) e quasi 9 milioni di tonnellate di petrolio rispetto al 2020 (per l’Italia oltre il 6%).
L’Europa non può ottenere una via d’uscita dalle molteplici crisi attuali semplicemente sostituendo i combustibili fossili russi con importazioni da altre regioni. In effetti, i vari dei vari Stati membri di assicurarsi petrolio e gas dall’Africa, dagli Stati Uniti e da altri Paesi offrono solo una soluzione a breve termine per un problema a lungo termine.
Tutto ciò non fa che aggravare la crisi climatica.
QUI trovi il rapporto completo.
Seguici su Telegram | Instagram | Facebook | TikTok | Youtube
Fonte: Winter is coming, plastic has to go
Leggi anche:
- Stop a tempo indeterminato al gas russo in Europa (e l’Italia si prepara al razionamento dei consumi energetici)
- L’Italia può diventare energeticamente indipendente con le rinnovabili? Sì, ma la burocrazia blocca tutto (da troppi anni)
- Blocco del gas russo: quali saranno le conseguenze a lungo termine per le ambizioni climatiche dell’Europa?
- Senza il gas russo, l’Africa rischia di diventare un colabrodo. Urge fermare le esplorazioni di gas per evitare il disastro climatico (e non solo)