Alla COP29, Giorgia Meloni riafferma l'impegno dell'Italia nella transizione energetica, ma le sue parole sollevano interrogativi sulla validità di un approccio che mette sullo stesso piano le energie rinnovabili e fossili. La sfida è comprendere quanto il "pragmatismo" possa affrontare le urgenze ambientali
Alla COP29 di Baku, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha presentato l‘Italia come attore protagonista nella lotta contro il cambiamento climatico, ma con un approccio che definisce “pragmatico”. Una visione che, più che ambiziosa, sembra giocare su un equilibrio precario e instabile tra sostenibilità e interessi economici. L’adagio utilizzato dalla premier “la natura va difesa con l’uomo al centro” suona come una dichiarazione di intenti dietro cui, però, si cela un programma che, nel tentativo di essere inclusivo e non ideologico, potrebbe finire per rallentare l’adozione delle soluzioni energetiche più urgenti e efficaci, cioè le fonti di energia rinnovabile.
Meloni ha sottolineato che la transizione energetica deve essere compatibile con le esigenze economiche, evitando un approccio ideologico che rischierebbe di “portarci fuori strada”. La neutralità tecnologica, secondo la premier, è la chiave per non rimanere intrappolati in soluzioni troppo restrittive. È altrettanto vero, però, che promuovere un mix energetico che includa anche gas, biocarburanti, idrogeno, e soluzioni che ad oggi appaiono piuttosto lontane, come la fusione nucleare, potrebbe allungare i tempi della transizione, rallentando l’adozione delle tecnologie già rodate e disponibili per la decarbonizzazione.
Il rischio di un “pragmatismo” che indebolisce la transizione
“Dobbiamo utilizzare tutte le tecnologie disponibili”, ha continuato Meloni, spiegando che “non esiste un’unica alternativa ai combustibili fossili”. La premier ha parlato di un “paniere energetico equilibrato”, in cui la diversificazione tecnologica è necessaria per rispondere alla crescente domanda di energia globale, alimentata da fattori come l’intelligenza artificiale e l’aumento della popolazione. Ma questa visione rischia di sottrarre priorità all’unica alternativa realistica e urgente: di nuovo, il rapido passaggio alle fonti rinnovabili.
Il ricorso alla fusione nucleare appare ancora un miraggio, e continuare a sperare di puntare su di essa come soluzione a lungo termine potrebbe significare rinviare l’adozione di tecnologie che sono già operative e in grado di ridurre le emissioni. Sappiamo già quali sono: energia solare, eolica e idroelettrica, tanto per fare qualche esempio.
Inoltre, la promozione di tecnologie come la cattura e stoccaggio del carbonio – considerati utili in un’ottica di compensazione delle emissioni – non deve trasformarsi in un pretesto per perpetuare l’uso di combustibili fossili.
Meloni ha definito la fusione nucleare come una potenziale rivoluzione, capace di produrre energia pulita e illimitata. L’Italia, ha aggiunto, è all’avanguardia nella ricerca su questa tecnologia. Tuttavia, la fusione nucleare rimane un’ipotesi lontana, un’illusione che rischia di sviare l’attenzione dalla vera sfida: l’accelerazione della decarbonizzazione attraverso le fonti di energia rinnovabili. In questo contesto, il “pragmatismo” rischia di sembrare più una giustificazione per non affrontare la realtà di una transizione energetica, e più in generale ecologica che, per essere efficace, richiede azioni immediate.
Meloni ha anche parlato della necessità di una collaborazione globale per vincere la sfida del cambiamento climatico. “Spetta a noi determinare se la lotta ai cambiamenti climatici sarà un successo o un fallimento”, ha dichiarato, facendo riferimento alla responsabilità verso le future generazioni. Questo passaggio racchiude una grande verità: senza un impegno internazionale condiviso, gli effetti della crisi climatica non saranno più gestibili. Come ha ricordato nel suo intervento di ieri il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, “nessuna economia sarà al sicuro da un impatto ancora maggiore, a meno che le emissioni non crollino e l’adattamento non aumenti drasticamente”.
D’altra parte, è sempre più evidente che la sfida di un mondo sempre più interconnesso non può essere affrontata solo con promesse diplomatiche, ma richiede azioni forti e tempestive da parte dei Paesi industrializzati, primi tra tutti gli Stati Uniti e la Cina, ma anche dell’Europa, dove l’Italia ha un ruolo fondamentale.
L’approccio di Giorgia Meloni alla COP29 solleva qualche interrogativo. Da un lato, l’attenzione a un “mix energetico equilibrato” può sembrare una posizione ragionevole, ma dall’altro, rischia di indebolire l’urgenza della transizione. L’insistenza su un approccio che non privilegia le rinnovabili può diventare una trappola per ritardare la quella transizione verde di cui abbiamo bisogno.
In un contesto globale di crescente emergenza climatica, dove la scienza (che non si fonda su ideologie ma su dati) non aspetta, la vera sfida sarà capire quanto il “pragmatismo” possa davvero rispondere alle necessità di azione immediata. Se la lotta al cambiamento climatico non diventa una priorità ineludibile, rischia di rimanere una promessa vuota, ben lontana dalle risposte che il nostro Pianeta e le generazioni future, cui giustamente la premier ha fatto riferimento in conclusione del suo discorso, richiedono.
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