Quasi 5 milioni di animali sono morti nell’inverno più rigido della Mongolia (e sì, c’entra la siccità)

I pastori nomadi della steppa mongola sono in balia di inverni drammatici, condizioni estreme che causano estese morie di pecore, capre, bovini e cammelli, animali su cui proprio le tradizionali comunità fanno affidamento per la loro sopravvivenza. Secondo le Nazioni Unite, i pastori mongoli sperimentano più spesso condizioni di freddo estremo 'dzud', con poco tempo per riprendersi prima del successivo

È “dzud”, il freddo estremo che in Mongolia piega in due i pastori nomadi e il bestiame. Una condizione meteorologica “normale”, se non fosse che la frequenza e l’intensità di questi cicli di gelo sono in aumento dal 2015 a causa del peggioramento degli impatti dei cambiamenti climatici. Con danni sempre più devastanti.

I mongoli, insomma, sono abituati a sopportare il freddo nei mesi invernali da dicembre a marzo, sì, ma le temperature estreme che caratterizzano da qualche anno a questa parte lo dzud, col termometro che arriva anche a -50°, creano una vera emergenza, anche economica.

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I numeri? Lo dzud quest’anno ha già causato la morte di circa 4,7 milioni di animali. È il quadro descritto dal Centro operativo di emergenza (EOC) della Mongolia. Secondo l’Ufficio del Coordinatore residente delle Nazioni Unite in Mongolia, circa 190mila famiglie di pastori stanno lottando con cibo inadeguato, prezzi alle stelle e maggiore vulnerabilità, e secondo la Croce Rossa, almeno 2.250 famiglie che vivono di allevamento hanno perso più del 70% delle mandrie, poiché lo dzud di quest’anno ricopre i pascoli con neve profonda e ghiaccio.

Come se non bastasse, si prevede che molti altri animali non saranno in grado di sopravvivere nelle prossime settimane.

Cos’è uno dzud

Si tratta di un evento invernale estremo con temperature che scendono fino a -30°C o meno, come in questo caso, e forti venti, forti nevicate e ghiaccio. Oltre alla morte del bestiame, porta a interruzioni nei viaggi, nel commercio e nell’apertura delle scuole e ha un gravissimo impatto sull’accesso ai servizi sanitari, soprattutto per le persone che vivono nelle zone rurali.

Gli Dzud non sono rari in Mongolia. Ma, come riporta l’WHO, le nevicate di quest’anno sono state le più alte registrate in 49 anni, e il 90% del Paese è ora ricoperto da strati di neve spessi fino a un metro. In confronto, lo dzud del gennaio 2023 ha colpito solo il 17% del Paese.

Cosa c’entra la siccità

Il cambiamento climatico ha interrotto il ciclo delle quattro stagioni della Mongolia, portando a un aumento “delle ricorrenti siccità estive e dei successivi inverni rigidi” dal 2015, come spiega Tapan Mishra, coordinatore delle Nazioni Unite in Mongolia.

Questo è il sesto dzud che la Mongolia ha vissuto negli ultimi dieci anni, con i pastori che ancora faticano a riprendersi dopo il rigido inverno dello scorso anno che ha causato la morte di 4,4 milioni di animali da reddito. E se a questo si aggiunge proprio la profonda siccità dell’estate scorsa il dannè servito: la gran parte degli animali, infatti, non è stata in grado di accumulare sufficienti riserve di grasso in vista dei mesi più rigidi.

Basti pensare che a maggio 2023 si sono verificati incendi boschivi significativi proprio in Mongolia, ma anche in Kazakistan e in alcune regioni confinanti con la Russia, tra cui Kurgan, Tyumen, Omsk e Novosibirsk.

La perdita delle possibilità di pascolo per il bestiame ha fatto sì che i pastori abbiano già esaurito le loro scorte di fieno e foraggio mesi prima del solito, afferma la Croce Rossa. Secondo i dati ufficiali, alla fine del 2023 la Mongolia contava circa 64,7 milioni di animali da reddito.

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