Il 2021 segna (finora) l’annata apistica più critica degli ultimi decenni proprio per il comparto italiano. Un crollo pari al -95%.
È uno scenario che ormai si ripete da anni, da quando – già nel 2017 – si lanciò l’allarme di un clima completamente impazzito che cominciava a mettere in ginocchio finanche la produzione di miele. Eppure ancora tanto c’è da fare, praticamente tutto, se si considera che il 2021 segna (finora) l’annata apistica più critica degli ultimi decenni proprio per il comparto italiano. Un crollo pari al -95%.
È quanto segnalato dagli apicoltori, che registrano un brusco calo soprattutto in Regioni come la Toscana e l’Emilia-Romagna, mentre soltanto in Lombardia per la mancata produzione di acacia il danno subito supera i 30 milioni di euro: in media un alveare ha prodotto tra 500 gr/1 kg contro i 20 chili degli anni scorsi.
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Grosse criticità hanno interessato anche i territori del miele del Sud con la produzione di miele d’arancio che è stata quasi nulla in molte zone della Sicilia e della Puglia e una produzione media inferiore del 50%, così come per il miele di sulla.
Tutta colpa del clima, segnato da un evento estremo al giorno tra siccità, bombe d’acqua, violente grandinate e gelo in piena primavera. Tutto ciò ha distrutto le fioriture compromettendo pesantemente il lavoro delle api.
E ora il 2021 è stato così disastroso che è saltata anche la Settimana del miele di Montalcino, in provincia di Siena, che fa parte dell’associazione Le Città del Miele, con quasi mezzo secolo di puntuali edizioni annuali.
E l’Associazione apicoltori Arezzo Siena e Grosseto (Asga) sottolinea la necessità di “stimolare la politica ad aiutare gli apicoltori che, non solo soffrono la mancata produzione di miele, ma dovranno provvedere al mantenimento delle api” a causa della drastica riduzione dovuta all’’andamento climatico della scorsa primavera. Le stesse api, osserva l’associazione, “non hanno sufficienti scorte per poter passare indenni l’inverno che sta bussando alle porte”.
Le condizioni climatiche avevano compromesso le produzioni in primavera del tarassaco e del ciliegio, con anche la quasi totale perdita della produzione di miele di acacia, così come sono andate perse le fioriture di mandorli, ciliegia, asfodelo, trifoglio e agrumi al Sud azzerando le produzioni di nettare necessario per permettere alle api di colonizzarsi e svilupparsi per i raccolti successivi.
Il clima degli ultimi mesi, dicono, ha reso complicati anche la raccolta e l’immagazzinamento del nettare, che è servito innanzitutto per il nutrimento delle api: in molti casi gli allevatori sono stati costretti a costosi interventi di nutrizione artificiale degli alveari per evitare che morissero di fame e per salvare gli allevamenti. Un settore in grande sofferenza che, come hanno avuto modo di ricordare anche le associazioni di categoria, non ha risparmiato nemmeno le api regine: le fecondazioni, sempre a causa delle condizioni atmosferiche, si sono ridotte di circa il 20%, con gravi sofferenze delle aziende apistiche.
Le difficoltà delle api, ricordiamocelo, sono un pericolo grave per la biodiversità considerato che sono anche un indicatore dello stato di salute dell’ambiente e servono al lavoro degli agricoltori con l’impollinazione dei fiori. Moltissime colture alimentari dipendono in una certa misura per resa e qualità proprio dall’impollinazione dalle api. È ora di fare qualcosa.
Fonte: Asga
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