Il cambiamento climatico non è solo un problema ambientale, ma una vera e propria crisi umanitaria. Lo spiega l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati nel suo ultimo report
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Duecentosedici milioni. È questo il numero impressionante di persone che, secondo l’UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), rischiano di dover abbandonare le proprie case entro il 2050 a causa del cambiamento climatico. Un esodo biblico alimentato da eventi meteorologici estremi e dall’incapacità del mondo di agire in tempo. L’ultimo rapporto dell’agenzia ONU per i rifugiati, “Nessuna via di fuga“, pubblicato il 12 novembre durante la COP29 a Baku, racconta la profonda interconnessione tra clima, conflitti e sfollamenti forzati.
Oltre 120 milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case, e di queste, più del 75% vive in Paesi altamente vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico. Il rapporto evidenzia che entro il 2040, 65 nazioni potrebbero affrontare impatti climatici devastanti, minacciando la stabilità di già fragili comunità.
L’interazione tra clima e conflitti
“La crisi climatica sta causando lo sfollamento in regioni che ospitano già un gran numero di persone sradicate da conflitti e insicurezza, aggravando la loro situazione e lasciandoli senza un posto sicuro dove andare”, ha dichiarato Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Un esempio emblematico è il Sudan, dove il conflitto armato ha spinto oltre 4 milioni di persone alla fuga interna, con 700.000 rifugiati che hanno attraversato il confine con il Ciad, Paese già messo a dura prova dalla desertificazione e dalla scarsità idrica.
I rifugiati affrontano anche sfide climatiche nei Paesi di destinazione. Secondo il rapporto, entro il 2050, molti campi profughi, spesso situati in regioni già aride, potrebbero registrare fino a 180 giorni di calore pericoloso all’anno, il doppio rispetto a oggi.
Inoltre, si stima che i disastri naturali legati al clima abbiano colpito oltre 20 milioni di persone nel solo 2022, un numero destinato ad aumentare senza azioni immediate. Le alluvioni, sempre più frequenti, devastano le aree abitate dai rifugiati, come dimostrato dal passaggio del ciclone Mocha che ha colpito violentemente i campi profughi in Bangladesh, aggravando le difficoltà di chi è fuggito dal Myanmar.
Testimonianze dal fronte climatico
“Nella nostra regione, dove così tante persone sono state sfollate per così tanti anni, vediamo gli effetti del cambiamento climatico davanti ai nostri occhi”, ha affermato Grace Dorong, attivista per il clima ed ex rifugiata dal Sud Sudan. Le esperienze di sfollati come Dorong sono esemplificative: comunità già provate da conflitti devono ora affrontare siccità prolungate, raccolti perduti e risorse idriche in diminuzione. Nel 2022, oltre 32 milioni di persone hanno subito gli effetti combinati di conflitti e disastri climatici, con un impatto particolarmente pesante per i paesi africani.
Il rapporto UNHCR mette in luce come le voci dei rifugiati e delle comunità ospitanti siano spesso trascurate nei dibattiti internazionali. “Spero che le testimonianze delle persone in questo rapporto aiutino i decisori a capire che se non affrontati, gli spostamenti forzati e l’effetto moltiplicatore del cambiamento climatico peggioreranno. Ma se ci ascoltano, possiamo essere parte della soluzione anche noi”, ha aggiunto Dorong.
Il problema dei finanziamenti per il clima
L’inequità dei finanziamenti è uno degli aspetti più preoccupanti. Il rapporto sottolinea che i Paesi più fragili ricevono appena 2 dollari pro capite per l’adattamento climatico, contro i 161 dollari destinati ai Paesi più sviluppati. Anche quando i fondi arrivano, oltre il 90% è speso nelle capitali, trascurando le aree periferiche, dove l’impatto climatico si fa più sentire. In media, tra il 2010 e il 2022, solo il 20% dei finanziamenti climatici globali ha raggiunto i Paesi meno sviluppati, contribuendo a mantenere un divario di resilienza sempre più ampio.
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