Con l’avvio delle votazioni negli Stati Uniti, Kamala Harris e Donald Trump si sfidano per la Casa Bianca. Nonostante la crescente urgenza del cambiamento climatico, il tema non domina la campagna elettorale, che resta focalizzata (soprattutto) su economia, politica estera e immigrazione
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È iniziato ufficialmente il lungo giorno delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Alle 5 del mattino, ora locale, sono stati aperti i primi seggi lungo la costa est, segnando l’inizio di una maratona elettorale che attraverserà sei fusi orari.
Milioni di americani sono chiamati a decidere chi tra la democratica Kamala Harris e il repubblicano Donald Trump diventerà il nuovo inquilino della Casa Bianca.
I sondaggi li danno testa a testa in sette Stati cruciali (gli “swing states” Pennsylvania, Nevada, Wisconsin, Georgia, North Carolina, Michigan, Arizona), dove ogni singolo voto potrebbe fare la differenza. Oltre 80 milioni di cittadini hanno già partecipato al voto anticipato, sia per posta che in presenza, mentre altrettanti stanno esprimendo la propria preferenza elettorale in queste ore, con la chiusura delle urne fissata alle 20.00, ora locale. Nel 2020 a votare furono 155 milioni di statunitensi, cioè il 66% degli aventi diritto.
Ma ora procediamo con alcune riflessioni, pre-risultati, sull’ambiente.
Sebbene il cambiamento climatico abbia dominato il dibattito internazionale, negli Stati Uniti sembra aver giocato un ruolo marginale in questa campagna. Nonostante l’intensificarsi degli eventi climatici estremi e l’allarme per il futuro del Pianeta, il tema ambientale non ha occupato la centralità che molti si aspettavano, restando sullo sfondo in un’America divisa e preoccupata principalmente per l’economia, la sanità e la sicurezza. La questione climatica, insomma, sembra non avere il peso sufficiente per influenzare l’esito di queste elezioni, dove i problemi considerati più immediati e tangibili hanno preso il sopravvento.
Nel 2020, il cambiamento climatico aveva raggiunto un livello di attenzione mediatica senza precedenti nelle elezioni presidenziali statunitensi, che hanno visto vincere il democratico Joe Biden sul repubblicano Donald Trump.
Le catastrofi naturali sempre più frequenti, come gli incendi devastanti che hanno polverizzato ampie aree delle foreste canadesi, dal Quebec alla Nuova Scozia fino al New Brunswick e all’Ontario, così come gli uragani che hanno aggredito prima le coste Usa, per poi seminare distruzione nell’entroterra, avevano portato questo tema al centro del dibattito pubblico.
Kamala Harris, allora vicepresidente e oggi candidata democratica per la Casa Bianca, aveva sostenuto fermamente le politiche climatiche del partito democratico, mentre il suo rivale, Donald Trump, aveva minimizzato la questione, definendo il cambiamento climatico una “truffa”.
Quattro anni dopo, nonostante l’accelerazione della crisi climatica, le elezioni del 2024 sembrano non considerare prioritario il tema, a favore di altri argomenti reputati più urgenti, come l’economia, la politica estera e l’immigrazione.
La distanza tra la realtà e il dibattito elettorale
Con l’Onu che ciclicamente ci ricorda che le attuali politiche climatiche sono “molto lontane” dagli obiettivi necessari per evitare un riscaldamento globale irrecuperabile e ingestibile, la domanda sorge spontanea: come mai, nonostante l’evidenza dei cambiamenti climatici in atto, il tema non sta occupando il posto di rilievo che aveva nel 2020?
L’uragano Helene, che a settembre ha causato la morte di oltre 220 persone tra la Florida e la Virginia, e l’uragano Milton, che poco meno di due settimane dopo ha devastato la stessa area, uccidendo 35 cittadini, sono solo gli ultimi esempi di eventi meteo estremi che gli scienziati associano ai cambiamenti climatici o che, per lo meno, considerano potenziati dalla crisi climatica. Eppure, durante la campagna presidenziale, questi eventi sono stati messi in secondo piano, rispetto alla discussione su temi economici e sociali.
Secondo i sondaggi condotti dal Pew Research Center, il cambiamento climatico occupa oggi una posizione periferica tra le preoccupazioni principali degli elettori statunitensi. Solo il 37% degli intervistati ha dichiarato che il clima sarebbe “molto importante” nel determinare la loro scelta elettorale, con una netta divisione tra i sostenitori dei due principali candidati. Mentre il 62% degli elettori di Kamala Harris considera il cambiamento climatico una priorità, solo l’11% degli elettori di Donald Trump condivide questa preoccupazione.
Tra i sostenitori di Trump, l’economia (93%), l’immigrazione (82%) e la criminalità violenta (76%) sono i temi principali. Per i sostenitori di Harris, l’assistenza sanitaria (76%) e le nomine alla Corte Suprema (73%) sono di primaria importanza. Un’ampia maggioranza cita anche l’economia (68%) e l’aborto (67%) come molto importanti per il loro voto alle elezioni.
Un contrasto di visioni tra i candidati
Le posizioni dei due principali contendenti alla Casa Bianca, Kamala Harris e Donald Trump, sono profondamente divergenti riguardo al cambiamento climatico, ma entrambe sembrano riflettere l’attuale clima politico negli Stati Uniti.
Kamala Harris, pur avendo giocato un ruolo determinante nell’approvazione dell’Inflation Reduction Act, che prevede investimenti significativi in politiche climatiche e di transizione energetica, non ha fatto della questione climatica un pilastro centrale della sua campagna elettorale. La sua attenzione è rivolta più alla difesa delle politiche ambientali già avviate durante l’amministrazione Biden, senza fornire soluzioni concrete per affrontare le sfide future in modo radicale.
Trump, dal canto suo, ha adottato una retorica completamente opposta. Durante il suo mandato, aveva avviato un processo di smantellamento delle normative ambientali, e continua a fare promesse in linea con la sua visione di un’America “energeticamente indipendente”, puntando sulla valorizzazione dei combustibili fossili e definendo le politiche climatiche come dannose per l’economia. La sua posizione non si limita solo a rifiutare le politiche green, ma arriva a sminuire l’intera esistenza della crisi climatica, relegandola a “bufala”.
Un tema meno urgente per gli elettori?
Ma qual è il motivo di questo disinteresse per la questione climatica da parte dell’elettorato? Seppur il cambiamento climatico continui a essere percepito come un tema cruciale da una parte dell’opinione pubblica, l’urgenza legata alla crisi economica, alle disuguaglianze sociali e alle preoccupazioni sulla sicurezza nazionale ha finito per prevalere nelle discussioni elettorali. Non è un caso che la questione climatica sia ora percepita come meno urgente, soprattutto alla luce della difficoltà di tradurre l’emergenza ambientale in risposte politiche concrete che possano portare a un cambiamento tangibile nel breve periodo.
Inoltre, c’è una spaccatura generazionale: mentre i giovani elettori, in particolare quelli attivi nel movimento per la giustizia climatica, vedono nel cambiamento climatico una delle priorità assolute, le generazioni più anziane sembrano meno sensibili al tema, privilegiando questioni considerate “più immediate” come l’inflazione o l’occupazione. Questo fenomeno di “normalizzazione” del cambiamento climatico è un riflesso di come la crisi sia ormai entrata nella vita quotidiana di milioni di persone, tanto da essere percepita, in alcuni casi, come inevitabile o persino naturale, piuttosto che come un fenomeno da contrastare con decisioni politiche radicali.
L’impatto delle politiche climatiche sui posti di lavoro e sull’economia
Un altro fattore che ha influito sull’attenzione elettorale al cambiamento climatico è l’impatto delle politiche ambientali sull’economia. La promessa di Trump di creare “posti di lavoro” attraverso l’espansione delle industrie dei combustibili fossili è stata accolta positivamente da gran parte degli elettori repubblicani, che vedono nel settore energetico un’opportunità di crescita economica. Al contrario, le politiche climatiche proposte da Harris e dai democratici, che mirano a incentivare la transizione verso le energie rinnovabili, sono spesso dipinte come una minaccia per l’occupazione tradizionale e l’economia domestica, soprattutto in quegli Stati dove l’industria del petrolio e del gas è ancora dominante.
Cosa potrebbe cambiare?
Nonostante la marginalizzazione del cambiamento climatico durante la campagna elettorale, è chiaro che le azioni future del presidente degli Stati Uniti, che si tratti di Harris o Trump, avranno un impatto diretto sulla politica climatica globale. Gli Stati Uniti, come secondo maggiore emettitore di gas serra al mondo, dopo la Cina e con l’Ue che li segue a ruota, rivestono un ruolo cruciale nelle negoziazioni internazionali sul clima.
Il 2024, con la COP29 di Baku in programma subito dopo le elezioni, sarà un ottimo banco di prova per capire come il Paese affronterà la crisi climatica. Se, come sembra probabile, nessuno dei due candidati abbraccerà misure drastiche per ridurre le emissioni, la speranza di un’efficace azione globale sul clima potrebbe sembrare più lontana che mai.
Il cambiamento climatico potrebbe non essere al centro delle elezioni presidenziali 2024, ma la sua influenza si farà sentire nel lungo periodo, non solo negli Stati Uniti, ma a livello globale. La vera domanda che ci dovremmo porre non è se il cambiamento climatico influenzerà il voto, ma se, una volta passata l’urgenza elettorale, la politica mondiale saprà finalmente affrontare questa sfida con la determinazione e l’urgenza che richiede.
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