Alcuni appunti trapelati avrebbero rivelato che l'OPEC, l’Organizzazione dei Paesi esportatori del petrolio, si sarebbe scagliata contro l'eliminazione graduale dei combustibili fossili alla COP28. I riflettori sono ora puntati sulla Presidenza della COP28: medierà un accordo per una “Just Transition” o si allineerà con l’industria petrolifera? Ai posteri la sentenza non tanto ardua
Mentre la Conferenza si avvia alle ultime fasi (il tema di oggi sarà la natura e le foreste), viene fuori che – secondo alcuni documenti fatti trapelare dal The Guardian – il cartello petrolifero dell’OPEC non ci starebbe a un possibile accordo sul phase out, tanto da inviare una lettera “della massima urgenza” ai suoi Paesi membri, invitandoli a rifiutare qualsiasi formula che prenda di mira i “combustibili fossili” e non “le emissioni”.
Nei documenti avrebbe scritto anche che “le pressioni contro i combustibili fossili potrebbero raggiungere un punto critico dalle conseguenze irreversibili”, suggerendo la profondità del timore dell’OPEC che la COP28 possa fornire un punto di svolta contro il petrolio e il gas, che secondo l’Organizzazione “mettono a rischio la prosperità e il futuro del nostro popolo”.
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Lettere identiche, datate 6 dicembre e firmate da Haitham al-Ghais, dirigente petrolifero kuwaitiano e segretario generale dell’OPEC, sono state inviate ai 13 membri dell’Organizzazione, tra cui Arabia Saudita, Iran, Iraq e Nigeria. Questi Paesi possiedono l’80% delle riserve petrolifere globali e hanno prodotto circa il 40% del petrolio mondiale nell’ultimo decennio.
Phase out sì ophase out no?
Eppure, sarebbero questi a Dubai sono giorni decisivi per il negoziato sul phase out: le delegazioni presenti stanno discutendo su quale linguaggio utilizzare nell’accordo finale in merito ai combustibili fossili. Al momento, le opzioni sul tavolo sono 5:
- A phase out of fossil fuels in line with best available science
- A phase out of fossil fuels in line with best available science, the IPCC’s 1.5 pathways and the principles and provisions of the Paris Agreement
In entrambi i casi ci sono tre traguardi mai raggiunti negli accordi precedenti: l’utilizzo della parola “phase out” (e non phase down), l’assenza della parola “unabated” e il riferimento a tutti i combustibili fossili (carbone, ma anche gas e petrolio).
Altre due opzioni sono:
3. A phase out of unabated fossil fuels recognizing the need for a peak in their consumption in this decade and underlining the importance for the energy sector to be predominantly free of fossil fuels well ahead 2050
4. Phasing out of unabated fossil fuels and to rapidly reducing their use so as to achieve net-zero CO2 in energy systems by or around mid-century
Qui, in entrambe le formule (la terza opzione menziona esplicitamente una transizione verso un modello energetico “prevalentemente senza fossile”, la quarta, invece, parla di “raggiungere il net-zero di CO2 intorno al 2050” attraverso una generica riduzione del fossile non trattato) c’è la parola “unabated”, che fa riferimento all’eliminazione di quelle emissioni provenienti dal fossile che non sono state sottoposte a sistemi di cattura e stoccaggio (CCS) della CO2 (per gli scienziati, le tecnologie CCS non sono in grado di fermare l’aumento delle temperature globali).
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Nella quinta opzione permane invece la possibilità di non menzionare affatto un phase out.
Cosa dicono gli Stati?
A favore di un phase out incondizionato sono:
- l’Unione Europea
- gli Stati Uniti
- le piccole isole più esposte alla crisi climatica
- la Colombia
- il Cile
- alcuni stati dell’Africa, tra cui Kenya e Etiopia (atri Stati africani, tra cui l’Uganda, sono disposti ad accettare il phase out solo a patto che venga garantito agli Stati meno ricchi maggior tempo per uscire dal fossile)
Contro il phase out sono:
- la Russia
- la Cina
- l’Arabia Saudita
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