Sostenuta da profitti record, l'industria petrolifera sta sviluppando più di 24mila km di nuovi condotti, sufficienti per estendersi per quasi due terzi intorno alla Terra. Di questi, 10.351 km di oleodotti sono già in costruzione, drammaticamente in contrasto con gli sforzi per limitare il riscaldamento globale a 1,5 ºC o 2,0 ºC
Più di 24mila km di nuovi oleodotti sono in fase di sviluppo in tutto il mondo, per una distanza che quasi equivale al doppio del diametro della Terra. Si tratta di progetti guidati, nemmeno a dirlo, da Stati Uniti, Russia, Cina e India e che sono “drammaticamente in contrasto con i piani per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C o 2°C”.
Lo dicono alcuni analisti del Global Energy Monitor (GEM), che in rapporto parlano chiaro: il petrolio pompato attraverso gli oleodotti produrrebbe almeno 5 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, equivalenti alle emissioni degli Stati Uniti, il secondo più grande inquinatore del mondo. Circa il 40% dei gasdotti è già in costruzione, mentre il resto è in fase di progettazione.
Le emissioni globali di carbonio devono diminuire del 50% entro il 2030 per tenere il passo con gli obiettivi concordati a livello internazionale per limitare il riscaldamento globale.
Per i governi che approvano questi nuovi gasdotti, il rapporto mostra un mancato raggiungimento quasi deliberato degli obiettivi climatici – dice Baird Langenbrunner dal GEM. Nonostante gli obiettivi climatici minaccino di rendere le infrastrutture dei combustibili fossili come risorse non recuperabili, i maggiori consumatori mondiali di combustibili fossili, guidati da Stati Uniti e Cina, stanno raddoppiando l’espansione dell’oleodotto.
Il fatto è che l’industria petrolifera nell’ultimo anno ha registrato profitti record e sta sfruttando questo momento di caos e crisi per portare avanti la massiccia espansione delle reti di oleodotti.
L’imponente costruzione di nuovi oleodotti da parte dell’industria petrolifera
Gli Stati Uniti sono il leader mondiale per gli oleodotti in fase di sviluppo e in questo momento contano 2.829 km in fase di sviluppo per un costo stimato di 7,9 miliardi di dollari, la maggior parte dei quali si trova nel bacino del Permiano (un bacino sedimentario che si estende nella parte occidentale del Texas e in Nuovo Messico).
A pari merito con gli Stati Uniti c’è l’India con i suoi 2.824 km di nuovi oleodotti in fase di sviluppo, per un costo stimato di 4,0 miliardi di dollari. Il terzo sviluppatore più grande è la Cina 2.533 km con un costo stimato di 4,2 miliardi di dollari.
Di fronte ai boicottaggi dell’Unione europea e degli Stati Uniti a causa della sua guerra all’Ucraina, la Russia intanto sta sviluppando 2.051 km di nuovi gasdotti per un costo stimato di 4 miliardi di dollari, con l’obiettivo di sostituire queste esportazioni perse con nuove esportazioni in India e Cina.
Inoltre, i dati di GEM rilevano che diversi Paesi europei hanno ancora investito in progetti petroliferi russi, nonostante questi boicottaggi: la proposta di 1.600 km dell’oleodotto Vostok conta tra i suoi proprietari l’olandese MME e la società commerciale svizzera Vitol, per esempio, e gli azionisti dell’oleodotto Caspian includono filiali di società con sede negli Stati Uniti ExxonMobil e Shell, BP e BG Overseas Holdings Ltd con sede nel Regno Unito ed Eni SpA con sede in Italia.
A livello regionale, c’è l’Africa subsahariana che guida il mondo nello sviluppo pianificato, con 1.950 km di oleodotti in costruzione e altri 4.540 km proposti.
Tutto ciò anche alla luce delle laconiche parole del Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, che la settimana scorsa ha sottolineato ai leader mondiali riuniti a New York come l’industria dei combustibili fossili ci stia uccidendo e come i leader non siano al passo con il loro popolo, che invece reclama un’azione urgente per il clima.
E questi numeri, oggi, ne danno conferma.
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Fonte: GEM
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