Lo studio dei resti archeologici delle comunità costiere del sud del Brasile getta una luce preoccupante sul nostro futuro
Lo studio dei resti archeologici delle comunità costiere del sud del Brasile getta una luce preoccupante sul nostro futuro
Un nuovo studio condotto sui resti archeologici ha collegato i cambiamenti nei livelli dell’Oceano Atlantico alle fasi di prosperità e decadenza di antiche civiltà del sud del Brasile: i risultati suggeriscono che tutte le comunità costiere, anche quelle maggiormente sviluppate e resilienti, non possono sfuggire ai danni provocati dall’innalzamento dei livelli dei mari.
I ricercatori hanno analizzato e datato alcuni ammassi di conchiglie preistoriche (chiamati sambaqui in lingua indigena), da cui hanno tratto le informazioni relative a significativi cambiamenti ambientali che sarebbero avvenuti nel sud-ovest del Brasile circa 2500 anni fa: a partire da quel momento, le dimensioni e l’occorrenza dei sambaqui iniziarono improvvisamente a diminuire. Ciò è stato interpretato finora, almeno da alcuni archeologi, come un segno della scomparsa di comunità di crostacei fino a quel momento molto presenti nell’area; altri studiosi, invece, hanno finora sostenuto che la rapida diminuzione dei sambaqui fosse dovuta ad un contemporaneo aumento dei processi agricoli e dell’uso della ceramica – innovazioni tecniche che avrebbero spinto le popolazioni verso un altro tipo di alimentazione, meno basata su molluschi e crostacei.
Tuttavia, il nuovo studio ha evidenziato come la scomparsa dei sambaqui sia avvenuta prima dell’introduzione della ceramica. Perché questo tipo di alimentazione sarebbe stato abbandonato? La risposta potrebbe trovarsi in un repentino mutamento nel livello dei mari – e ciò sarebbe confermato anche da recenti datazioni al radiocarbonio effettuate dagli archeologi nell’area della Baia di Babitonga, nel sud del Brasile. Lo studio al carbonio radioattivo ha dimostrato che la ceramica a Babitonga avrebbe iniziato a diffondersi circa 1200 anni fa, mentre la scomparsa dei sambaqui è da datarsi attorno ai 2500-2200 anni fa.
Anche i dati raccolti sui pollini, sui sedimenti e sulle caratteristiche geochimiche del territorio risalenti a quell’epoca attestano la presenza di cambiamenti significativi negli ecosistemi costieri e marini. Un’ondata di gelo senza precedenti ha portato alla formazione di ghiacciai e al conseguente abbassamento del livello del mare: ciò ha dato vita ad un gran numero di zone aride che hanno ridotto molto la disponibilità di molluschi, crostacei, zone di pesca e piante commestibili. Questo depauperamento delle risorse avrebbe poi spinto le popolazioni che vivevano nell’area a competere fra loro per cibo e dominio territoriale.
Questo evento rappresenta forse un punto di svolta nella natura basata sulla comunità e di condivisione delle risorse dei grandi siti cerimoniali, che sarebbe diventata insostenibile nella maggior parte delle aree – suggeriscono gli autori dell’articolo. – Quindi, diverse comunità si sarebbero dissolte in unità sociali più piccole, disperse e relativamente indipendenti, organizzate in insediamenti residenziali e logistici di breve durata che sono notoriamente meno visibili archeologicamente.
Il cambiamento nella struttura sociale è testimoniato da un grandissimo numero di piccoli siti archeologici risalenti tutti a circa 2000 anni fa, caratterizzati dalla presenza di utensili per la pesca profonda (come ami e reti da pesca) e per la conservazione del cibo (come anfore di terracotta). Mettendo insieme tutti questi indizi, come in una vera e propria indagine, gli archeologi hanno ipotizzato che la causa alla base di questa trasformazione fu il cambiamento climatico: il declino nel consumo dei crostacei, dovuto al loro difficile reperimento, potrebbe aver creato l’ambiente ideale per l’introduzione del vasellame e per la nascita di un nuovo tipo di pesca.
Che lezione possiamo trarre da questa scoperta? Certamente, il cambiamento climatico che stiamo sperimentando in questo periodo storico potrebbe condizionare molto la nostra sopravvivenza sulla Terra nei prossimi decenni, più di quanto non lo stia facendo già ora. Si prevede che il cambiamento climatico di matrice antropica farà salire il livello del mare di circa 0,3 metri entro la fine del secolo rispetto all’inizio del secolo: ciò significa che circa la metà delle spiagge sabbiose del nostro pianeta potrebbe scivolare sotto le onde, e le conseguenze per la sopravvivenza delle comunità costiere di tutto il mondo potrebbero essere catastrofiche.
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Fonte: Scientific Reports
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