Alpi hotspot dei cambiamenti climatici, qui il riscaldamento globale sta procedendo a doppia velocità

Paleoclima: uno studio tutto italiano sull’ultima glaciazione conferma come le Alpi sia hotspot dei cambiamenti climatici. Qui Il riscaldamento globale va a una super velocità

Il riscaldamento globale sulle Alpi procede a velocità quasi doppia rispetto alla media globale. Ciò non può non avere conseguenze impattanti che trova un precedente in senso opposto nell’ultima glaciazione.

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Ad affermarlo è una ricerca dell’Università degli studi di Trieste pubblicata sulla rivista “Climate of the Past” dal titolo “Atmosphere–cryosphere interactions during the last phase of the Last Glacial Maximum in the European Alps”, secondo cui tra 26mila e 21mila anni fa il clima delle Alpi avrebbe registrato valori di raffreddamento quasi doppi rispetto alla scala globale.

L’equazione utilizzata per ricostruire il paleoclima – ossia, il clima di periodi geologici e storici precedenti lo sviluppo degli strumenti di misura delle componenti climatiche e del tempo atmosferico – in questa zona funziona anche in direzione opposta e offre utili indicazioni rispetto al futuro.

Lo studio

Durante l’Ultimo Massimo Glaciale (LGM) avvenuto sulle Alpi tra 26mila e 21mila anni fa, i ghiacciai si spinsero nelle pianure pedemontane e sono ancora oggi identificabili grazie alle grandi morene frontali ben conservate, ad esempio quelle del Tagliamento a Nord di Udine, del Garda a nord di Verona o nel comprensorio Ivrea-Verbano in Piemonte.

I ghiacciai sono fortemente controllati dalla temperatura e dalle precipitazioni e quindi sono eccellenti indicatori del cambiamento climatico. In questo lavoro è stato utilizzato un modello climatico regionale (RCM) sviluppato dall’ICTP innestato nel modello paleoclimatico del Max Planck Institute (Germania), che ha permesso di studiare alcuni dei processi fisici che hanno sostenuto i ghiacciai alpini 21mila anni fa, si legge nello studio.

In particolare, gli studiosi hanno ricostruito la linea di equilibrio glaciale (ELA) durante l’LGM, confrontandola con quella dei livelli preindustriali di inizio ‘800.

alpi clima

©UniTS

Per la prima volta, i risultati di questo lavoro sono riusciti a essere coerenza con le evidenze geomorfologiche e geologiche sul terreno, dove invece i modelli precedenti avevano grossi errori in diversi settori alpini a causa di errate stime legate alle precipitazioni.

I risultati mostrano come il clima delle Alpi fosse in media di 6.8°C più freddo rispetto ai livelli preindustriali (quindi circa 9°C più freddo rispetto ad oggi) e in particolare nei settori orientali. Le precipitazioni annuali erano più scarse di circa il 15%.

La stagione che subì le variazioni più significative fu l’estate con una diminuzione di 7.3°C rispetto ai livelli preindustriali, ossia quasi 10°C in meno rispetto alle estati attuali. Queste condizioni permettevano ricorrenti nevicate attorno ai 1000 metri di quota in piena estate, e a volte anche a quote inferiori, mentre le pianure del Nord Italia erano coperte di neve da novembre a maggio.

La distribuzione delle precipitazioni era molto diversa rispetto ai giorni nostri, con l’estate come stagione più piovosa (in particolare sul settore alpino settentrionale), mentre l’inverno era verosimilmente molto freddo e secco a causa dell’influenza di una vasta area di alta pressione estesa dalla Scandinavia, dove aveva sede una calotta glaciale simile a quella della Groenlandia attuale, alla Siberia. Solo sul settore meridionale delle Alpi le precipitazioni erano frequenti anche nel corso dell’inverno, prevalentemente a carattere nevoso fino in pianura.

Questo studio apre nuove prospettive sull’uso dei modelli climatici regionali per lo studio dei climi passati, in quanto tali modelli possono offrire un dettaglio spaziale che ci permette di capire meglio gli indicatori climatici rilevati sul campo soprattutto in aree, come quella Alpina, caratterizzate da morfologie molto complesse.

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