La Dead Zone, ovvero la zona morta del Golfo del Messico è la diretta conseguenza dell’inquinamento causato dalle industrie agricole, i cui rifiuti vengono trascinati dalla pioggia fino al mare. E’ quanto sostiene un nuovo rapporto condotto da Mighty.
La Dead Zone, ovvero la zona morta del Golfo del Messico è la diretta conseguenza dell’inquinamento causato dalle industrie agricole, i cui rifiuti vengono trascinati dalla pioggia fino al mare. È quanto sostiene un nuovo rapporto condotto da Mighty.
Nello studio condotto da un gruppo ambientale presieduto da Henry Waxman emerge che le tossine date da concimi e fertilizzanti utilizzati nelle aziende agricole in cui si produce carne, stanno contribuendo alla fioritura di alghe tossiche che a loro volta, tolgono ossigeno all’ecosistema marino.
Il risultato è una moria nel Golfo del Messico, nella zona dei Grandi Laghi e nella baia di Chesapeake. Il NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration), ovvero l’agenzia federale statunitense che si occupa di meteorologia e oceani, da tempo monitora l’area.
La zona morta ha attualmente un’estensione pari a 13mila chilometri quadrati, un dato drammatico che denuncia che una vasta area del golfo ha una concentrazione scarsissima o pari a zero di ossigeno, ciò mette a repentaglio l’equilibrio del delicato ecosistema e l’esistenza stessa di moltissimi organismi.
Da oltre trent’anni ci sono controlli, ma la media annuale è della scomparsa di circa ottomila chilometri quadrati sino ad oggi. Le cause, dunque, secondo Mighty, sarebbero circoscritte alle acque reflue cariche di elementi azotati provenienti dalle numerose industrie agricole nell’area, i cui rifiuti vengono trascinati dalla pioggia sino al mare.
Si legge nel rapporto:
“Le industrie della carne sono alla base dell’inquinamento nocivo perché contaminano l’acqua e distruggono il nostro pianeta. Per questo è necessario ridurne il consumo e attuare una regolamentazione più severa”.
Secondo il NOAA, nel mese di maggio sul Mississippi e e Atchafalaya scorrevano 165mila tonnellate di nitrati e 22600 tonnellate di fosforo. Questo ovviamente, si ripercuote anche sui pesci che si riproducono in maniera molto inferiore.
Per arrivare ai risultati, il gruppo ambientalista ha analizzato tutta la catena di approvvigionamento e l’agroindustria.
“Emerge un sistema aziendale industrializzato responsabile della trasformazione di vaste aree, a causa anche della produzione di soia, mais e mangime animale”.
Quando piove, fertilizzanti e concimi arrivano al mare e nei fiumi, distruggendo tutto ciò che incontrano. Il mais viene utilizzato per alimentare i polli. Si stima che negli Stati Uniti, ad esempio, ogni anno ne vengano immessi nel mercato oltre 35 milioni, anche per i bovini vale la stessa regola: i loro mangimi depauperano risorse. E se pensiamo che ogni settimana vengono uccisi 125mila bovini, il risultato è catastrofico.
Dominella Trunfio