Il presidente turco contestato per l'imminente costruzione del Kanal Istanbul sul Bosforo. Istanbul rischia il disastro ecologico.
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In Turchia nell’estate del 2013 sono esplose le proteste anti-governative di Gezi Park. Nate per difendere l’ultimo parco pubblico di Istanbul da un progetto di ricostruzione della ex caserma di Taksim (demolita nel 1940) da adibire a centro commerciale, si sono estese fino a diventare un movimento sociale di massa che con lo slogan #OccupyGezi chiedeva non solo il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali ma anche dei beni comuni come, appunto, gli spazi verdi delle grandi città.
Ripartire da Gezi Park
Gezi Park è un piccolo parco urbano situato a piazza Taksim, nel distretto Beyoğlu di Istanbul. Il parco è ancora lì con i suoi alberi grazie a quella straordinaria mobilitazione dal basso, alla quale aderirono migliaia di persone nonostante la dura repressione del governo e delle forze di polizia. Quelle persone, appartenenti a diverse categorie sociali e orientamenti politici, speravano (e ancora oggi sperano) in un futuro migliore, fondato sui principi di giustizia, dignità e democrazia.
Tra questi cittadini, non possono mancare gli ambientalisti. Le giovani generazioni di turchi che aderiscono ai movimenti ambientalisti organizzano da decenni campagne di protesta e opposizione ad alcuni megaprogetti infrastrutturali di rilievo nazionale, quali aeroporti, dighe e impianti energetici. Nel paese si costruiscono senza sosta ponti, gallerie, centri commerciali, ospedali.
Le grandi imprese edili vicine al presidente turco hanno vinto gare d’appalto statali grazie al sostegno politico del presidente e del suo partito di maggioranza Akp. E il settore industriale è sottoposto ad un vasto e capillare sistema di corruzione e clientelismo che sta facendo sprofondare la Turchia in una grave crisi, aggravata dall’attuale pandemia.
Inoltre, quasi a sfidare il secolarismo ereditato dal padre della moderna Turchia, Mustafa Kemal Atatürk, nei pressi della centrale piazza Taksim il presidente Erdoğan ha inaugurato il mese scorso una gigantesca moschea (Taksim Mosque), contestata già nel 2013 dagli attivisti di Gezi Park che non gradivano la presenza di simboli religiosi in quella storica piazza.
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Magnifiche sorti?
I sogni di grandezza di Erdoğan sono in parte divenuti realtà.
Ad esempio, il progetto per la costruzione di un terzo aeroporto nella parte europea di Istanbul — che aveva scatenato un’ondata di mobilitazioni di protesta che si ispiravano a Gezi Park e ne rappresentavano il naturale sbocco — è stato realizzato. L’Instanbul Airport è stato inaugurato il 29 ottobre 2018, in concomitanza con le celebrazioni per il 95° anniversario della nascita della Repubblica di Turchia.
Ben undici miliardi di dollari stanziati per costruirlo nel distretto di Beşiktaş. Si tratta di un hub aeroportuale immenso e ultra tecnologico in grado di competere con lo scalo internazionale di Dubai per mole di passeggeri e traffico aereo.
Il nuovo canale sul Bosforo
Ora sta facendo discutere un maestoso progetto infrastrutturale (in parte finanziato dalla famiglia dell’emiro del Qatar), del valore di 15 miliardi di dollari: un nuovo canale sul Bosforo che collegherà il Mar Nero al Mar di Marmara. Il Kanal Istanbul, lungo 45 km, costituirebbe quindi una valida alternativa allo stretto sul Bosforo di Istanbul.
I lavori di costruzione, come annunciato dalla presidenza turca lo scorso 29 maggio, dovrebbero iniziare a fine giugno. Il nuovo canale dovrebbe agevolare il traffico marittimo e ridurre la frequenza di incidenti nello stretto del Bosforo.
Secondo i fautori del progetto, sulle sponde del canale sorgeranno almeno due nuovi centri urbani e ponti di collegamento, che favoriranno la creazione di nuovi posti di lavoro e il rilancio dell’economia turca. Il presidente Erdoğan cerca di raccogliere consensi, anche in vista delle elezioni presidenziali del 2023, dopo il drastico calo di popolarità che l’ha messo alle strette a causa della pessima gestione economica e le accuse di corruzione e di collusioni mafiose del suo esecutivo.
Gli oppositori al progetto del canale sostengono che il costoso Kanal Istanbul pesa sui contribuenti turchi, minaccia l’ambiente e mette in discussione la Convenzione di Montreux (1936) che finora aveva garantito la stabilità e sicurezza del Mar Nero.
La convenzione, firmata in Svizzera all’inizio del secolo scorso, regola il passaggio delle navi commerciali sul Bosforo e pone dei precisi limiti al passaggio delle navi da guerra (Ankara deve esserne informata otto giorni prima); per i paesi che non si affacciano sul Mar Nero, sono imposte specifiche limitazioni alle dimensioni della flotta che può transitare.
Il governo turco, pur promettendo di non uscire dall’accordo, intende ottenere un certo grado di autonomia nella gestione del nuovo canale, anche per quanto concerne il passaggio delle navi da guerra.
Voci di dissenso
Tra i rivali politici del presidente turco figura Ekrem İmamoğlu, l’attuale sindaco di Istanbul, eletto in una seconda tornata elettorale nel giugno 2019, mettendo fine al decennale predominio del partito del presidente sull’amministrazione della metropoli turca.
Uno scomodo oppositore politico dell’Akp, nei confronti del quale l’autorità giudiziaria avrebbe previsto 4 anni di carcere con l’accusa di aver insultato le autorità elettorali per aver contestato l’annullamento del primo turno delle amministrative, tenutesi nel marzo 2019 per contendersi la carica di primo cittadino di Istanbul.
İmamoğlu si oppone fortemente al progetto del nuovo canale artificiale, che a suo parere rischia di privare i 16 milioni di residenti di Istanbul di essenziali risorse idriche, di devastare l’ecosistema marino, di aumentare il rischio sismico e, non da ultimo, di distruggere le bellezze naturali dell’intera provincia, rendendola presto un luogo invivibile.
Circa 200mila alberi saranno abbattuti e saranno spazzati via 10mila ettari di terreno coltivabile per fare spazio al percorso del canale. L’area ospita coltivazioni di ortaggi, allevamenti di bufali e fattorie. Il sindaco della città si batte contro la cementificazione di Istanbul e il degrado ecologico, che vanno di pari passo con le ingiustizie sociali ai danni dei cittadini turchi.
Fonti: Bloomberg
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