Cambiamenti climatici, il rapporto IPPC parla chiaro: se non si prenderanno provvedimenti, si arriverà anche a guerre, carestie, alluvioni e a migrazioni di massa
Cambiamenti climatici e global warming: quanto è preparato il mondo intero? Ancora troppo poco. Ancora troppo poco, infatti, conosciamo (la classe politica in primis) i rischi imminenti delle emissioni di gas serra, di un clima che cambia così repentinamente e dei problemi che, in tutto il pianeta, un giorno potranno verificarsi. Tuona quasi come un ultimatum il rapporto dell’Ipcc (Intergovernamental Panel on Climate Change), l’organismo dell’Onu che analizza il riscaldamento globale premiato col Nobel della pace nel 2007.
Il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici ha reso dunque noto a Yokohama, in Giappone, il rapporto Il “Climate Change 2014: Impacts, Adaptation and Vulnerability“, il secondo e il più importante di una serie di tre rapporti della comunità scientifica volti ai “policymakers”. Tutti gli studi verranno poi accorpati in un documento finale a ottobre che l’Ipcc sta predisponendo per costituire la base per i negoziati globali su come ridurre il global warming, che dovrebbero poi concludersi con un nuovo trattato internazionale.
Il rapporto identifica le persone più vulnerabili, le industrie e gli ecosistemi di tutto il mondo e ritiene che il rischio di un ulteriore cambiamento climatico derivi da una quasi totale mancanza di preparazione, dall’esposizione di persone o beni ai danni e dalla sovrapposizione con i rischi (innescando eventi climatici o tendenze catastrofiche): ciascuna di queste tre componenti potrebbe essere un bersaglio, secondo gli esperti, per azioni intelligenti per ridurre il rischio.
COME SIAMO MESSI ORA? Il cambiamento climatico è in atto. L’ondata di calore del 2013, gli incendi della Russia nel 2010, gli uragani: un trend tutto al negativo che porterà, se non si prenderanno provvedimenti, anche a guerre, carestie, alluvioni e a migrazioni di massa.
Achim Steiner, Direttore esecutivo dell’Unep ha dichiarato:
“L’ultimo rapporto dell’IPCC fornisce prove scientifiche che le attività umane stanno causando cambiamenti senza precedenti nel clima della Terra. È tempo di agire immediatamente e in maniera massiccia per mitigare gli impatti del cambiamento climatico“. “Come recenti studi dimostrano – continua – le emissioni di gas serra pari o superiore ai tassi attuali potrebbero portare a cambiamenti negli oceani, alle calotte polari, ai ghiacciai, alla biosfera e agli altri componenti del sistema climatico“.
In pratica, secondo gli scienziati, se a fine secolo ci sarà (come previsto se non ci attuerà un cambio di tendenza) un aumento di 5 gradi, un miliardo di persone rimarranno senza acqua, due miliardi patiranno la fame, mentre la produzione di mais, riso e grano crollerà del 2% ogni 10 anni. Inoltre, fino a 187 milioni di persone saranno costrette ad abbandonare le loro case per fuggire dall’acqua che avanza e fino al 9% del Pil globale sarà risucchiato per affrontare l’avanzamento degli oceani.
“Alla luce di queste conseguenze e di quelle che abbiano stimato per il futuro, nessuno in questo pianeta non sarà toccato dal cambiamento climatico“, dice il presidente dell’Ipcc, Rajendra Pachauri.
“Il rapporto per la prima volta sottolinea la marcata differenza tra ciò che la Terra potrebbe essere se agiamo ora per tagliare le emissioni di gas serra, che attualmente provengono per la maggior parte dall’uso dei combustibili fossili, e quello che potrebbe accadere in assenza di azioni veloci e adeguate. Questo report ci pone dinanzi a due scelte: tagliare le emissioni ora e investire in azioni di adattamento e avere un pianeta su cui gravano rischi affrontabili, seppur a fatica e con grandi costi, oppure, non fare nulla e prepararci a un mondo di rischi e impatti devastanti e fuori controllo”, è il monito lanciato da Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia.
L’analisi dell’Ipcc evidenzia anche come il global warming stia colpendo in modo differenziato le varie aree del Terra: in Australia le siccità prolungate hanno già messo a repentaglio l’habitat dell’ornitorinco, del koala e di alcune specie di canguro. In Africa il crollo della pesca arriverà anche al 21% e in Asia molte delle città costiere corrono il rischio di essere inondate, mentre aumenterà la pressione dei deserti interni.
“Siamo tutti a rischio, il Mediterraneo è tra le aree che potrebbero essere maggiormente colpite, ma le persone e Paesi più poveri sono ancor più vulnerabili – ha dichiarato Mariagrazia Midulla, responsabile clima&energia del WWF Italia – Tutti i Paesi devono agire, a cominciare dall’Unione Europea che deve provvedere a varare un pacchetto ambizioso sul clima e l’energia per il periodo post 2020, includendovi forti target per la riduzione delle emissioni di gas serra, per le energie rinnovabili e per il risparmio e l’efficienza energetica. E deve farlo prima del Summit sul cambiamento climatico che il segretario generale delle Nazioni Unite, BanKi-moon, ha organizzato per settembre, in modo da stimolare al massimo il negoziato sul clima nell’ambito della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), a dicembre”.
Noi in Italia di fatto non siamo immuni: già sono quasi all’ordine del giorno piogge disastrose ormai di intensità monsonica e non solo. Secondo un’analisi della Coldiretti sui dati del Cnr, quest’anno l’inverno in Italia si è collocato al secondo posto tra i più caldi degli ultimi due secoli con una temperatura media superiore 1,8 gradi sopra la media di riferimento (1971-2000), seconda solo all’inverno 2006-2007 che registrò un’anomalia di +2 gradi.
Questo va a discapito del settore vinicolo e di tutto il patrimonio dei prodotti tipici Made in Italy:
“Negli ultimi trenta anni – commenta Coldiretti – il vino italiano è aumentato di un grado, ma si è verificato nel tempo anche un significativo spostamento della zona di coltivazione tradizionale di alcune colture come l’olivo che è arrivato quasi a ridosso delle Alpi”. Per non parlare poi della stagionatura dei salumi e dell’affinamento dei formaggi o l’invecchiamento dei vini. Si è verificato in pratica un vero e proprio “shock alle coltivazioni ingannate dall’insolito tepore che – conclude la Coldiretti – ha fatto maturare in modo repentino e simultaneo anche gli ortaggi rendendo impossibile una programmazione scalare della raccolta”.
E proprio sulle conseguenze dei cambiamenti climatici in Italia e in Europa è intervenuto anche il Ministro dell’Ambiente Galletti:
“I dati del quinto rapporto IPCC confermano ciò di cui ormai siamo tutti consapevoli. Il surriscaldamento del pianeta sta causando mutamenti climatici già in atto con costi gravissimi attuali e ancora maggiori in proiezione futura L’incremento nella frequenza e nella intensità di eventi climatici “estremi” anche in Italia, con un pesantissimo tributo di vite umane ed enormi danni per alluvioni, frane, violente esondazioni dei fiumi, ci mette davanti alla necessità di scelte che non possono più essere rinviate.
Sul fronte nazionale occorre proseguire e intensificare le politiche di riduzione delle emissioni e incremento dell’efficienza energetica, ma occorre anche investire subito e per un lungo periodo in quelle opere infrastrutturali necessarie per mettere in sicurezza un territorio che nei prossimi anni dovrà affrontare eventi metereologici violenti. Il piano di interventi per il dissesto idrogeologico va attuato e i fondi a disposizione vanno spesi prestissimo e bene. Su questi temi l’impegno del governo è massimo.
Ma c’è un fronte internazionale aperto e più complesso, che è poi quello su cui si gioca la sfida globale dei cambiamenti climatici. Solo quell’intesa che finora è mancata per una riduzione delle emissioni che coinvolga tutti i grandi “emettitori” di Co2 potrà arginare il surriscaldamento globale. Se Cina e India, le cui emissioni sono in grande crescita, se gli Stati Uniti, che non hanno sottoscritto Kyoto, se il Giappone, che abbandonando l’opzione nucleare tornerà ai combustibili fossili, non saranno tutti parte di un accordo globale nessuna efficace strategia di contrasto ai cambiamenti climatici potrà essere efficace.
A noi europei, che ci siamo imposti limiti ambiziosi e su questa strada intendiamo perseverare anche per il futuro, il compito politico, ma anche “etico”, di essere promotori e facilitatori di una intesa globale che si faccia carico di un problema che potrà avere effetti devastanti sull’umanità“.
Greenpeace si rivolge direttamente ai capi di Stato e di governo di accelerare il passaggio a fonti energetiche pulite e sicure.
“Stiamo camminando sul filo, ma se agiamo con fermezza e tagliamo le emissioni di CO2 immediatamente possiamo ancora evitare le peggiori conseguenze e conservare ecosistemi marini e terrestri, fondamentali per l’esistenza dell’uomo sulla Terra” afferma Luca Iacoboni, responsabile Campagna Clima e Energia di Greenpeace Italia. “Dovremmo ‘disarmare’ le centrali a carbone e le piattaforme petrolifere che sono come armi di distruzione di massa, dal momento che immettono in atmosfera emissioni di CO2 che non si fermano ai confini nazionali ma, al contrario, contribuiscono al cambiamento climatico dell’intero Pianeta. Per proteggere la pace e la sicurezza, dobbiamo accelerare subito il passaggio a fonti energetiche pulite” conclude Iacoboni.
I guerriglieri dell’arcobaleno chiedono ai governi di presentarsi al summit sul clima convocato a settembre dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon con proposte serie e concrete, che ci portino a raggiungere presto l’obiettivo di un sistema energetico basato, nella quasi totalità, sulle energie rinnovabili.
Insomma, cosa diavolo ci vuole perché si dica addio ai combustibili fossili e si passi a un sistema produttivo basato sull’efficienza, sulle fonti rinnovabili e sul riciclo dei materiali?
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