I cambiamenti climatici sono un'emergenza reale. Si stanno verificando a un ritmo allarmante e a causarli è l'attività umana, soprattutto con il suo uso-abuso dei combustibili fossili, mentre la temperatura dell'aria e il livello del mare continuano a salire. Eppure le soluzioni per combatterli ci sarebbero.
I cambiamenti climatici sono un’emergenza reale. Si stanno verificando a un ritmo allarmante e a causarli è l’attività umana, soprattutto con il suo uso-abuso dei combustibili fossili, mentre la temperatura dell’aria e il livello del mare continuano a salire. Eppure, le soluzioni per combatterli ci sarebbero.
La drammaticità della situazione si è vista chiaramente nelle lontane Filippine, su cui si è da poco abbattuto uno dei tifoni più forti mai registrati al mondo, con migliaia di vite e case andate perse. E nella “nostra” Sardegna, dove è stata la depressione Ruven, chiamata dai media Cleopatra, a lasciare l’ennesima scia di distruzione e vittime annunciate.
“È arrivato il momento di rivedere le priorità all’interno del bilancio dello Stato e mettere la prevenzione del dissesto idrogeologico tra i primi punti“, ha detto il sottosegretario all’Ambiente, Marco Flavio Cirillo, a ridosso dell’alluvione sarda, sottolineando che “non si possono inseguire le emergenze che si verificano di volta in volta, ma bisogna intervenire preventivamente per tutelare le popolazioni e i territori“.
Parole che si ripetono nelle dichiarazioni del capo della Protezione Civile, del Presidente della Regione Sardegna e dei sindaci dei Comuni colpiti. Tutti uniti nel coro del generico “assalto al territorio da parte del cemento“, che torna pronto all’uso per il cordoglio del giorno dopo. “È evidente che si è costruito là dove non si doveva costruire, ma forse si possono trovare interventi che scongiurino il ripetersi di queste tragedie”, diceva già nel 2011 l’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, a ridosso della disastrosa alluvione di Genova. Pochi giorni dopo finirono sotto il fango anche Barcellona Pozzo di Gotto, Meri e Saponara.
Nel 2009 anche Giampilieri e Scaletta Zanclea, in Sicilia, venivano colpite da un violento nubifragio e da vari eventi franosi. I morti furono più di 30, migliaia gli sfollati. “O c’è un piano serio che, piuttosto che in opere faraoniche, investa sulla sicurezza in questo Paese o si potranno avere altre sciagure“, tuonava all’epoca il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dichiarandosi d’accordo con il capo della Protezione civile Bertolaso sull’esistenza di “un diffuso dissesto idrogeologico in gran parte causato da abusivismo in tante altre parti d’Italia“.
Si potrebbe proseguire ancora per molto, tragedia dopo tragedia, nel lungo copione senza memoria, privo di una più ampia visione di insieme e digiuno della dimensione scientifico-ambientale di fenomeni estremi strettamente legati ai cambiamenti climatici e che nei prossimi anni sono destinati a ripetersi. Il risultato, di fatto, è che si continua, oggi come allora, a ignorare gli effetti dell’impatto dell’uomo sul clima, anche quando è il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico dell’Onu (IPCC) a confermarli definitivamente e scientificamente.
Il nuovo report del Panel parla chiaro: nuove evidenze scientifiche, prodotte da una più vasta serie di osservazioni e di modelli climatici di nuova generazione, nonché da una miglior comprensione dei processi climatici e dei feedback, rafforzano e confermano i dati sul cambiamento climatico in atto, la cui causa dominante è l’attività antropogenica (emissioni di gas-serra, aerosol, deforestazione e cambi di uso del suolo).
Non sono più solo gli ambientalisti a dirlo, ma i dati analizzati dalla comunità scientifica internazionale. “Le proiezioni climatiche mostrano che entro la fine di questo secolo la temperatura globale superficiale del nostro pianeta probabilmente raggiungerà 1.5 °C oltre il livello de periodo 1850 – 1900. Senza serie iniziative mirate alla mitigazione e alla riduzione delle emissioni globali di gas serra, l’incremento della temperatura media globale rispetto al livello preindustriale potrebbe superare i 2 °C e arrivare anche oltre i 5 °C“ , spiega Sergio Castellari, Focal Point IPCC per l’Italia.
Anche l’economia ne risentirà. “L’allarme lanciato dal rapporto evidenzia il rischio di una gigantesca ‘bolla di carbonio’ che deriverebbe dall’attuazione di serie politiche di riduzione delle emissioni. La riduzione delle emissioni di carbonio, infatti, metterebbe a rischio il futuro del settore del gas e del petrolio e porterebbe a un calo della domanda, provocando una riduzione dei prezzi di queste risorse. Occorre puntare sempre di più su efficienza energetica e rinnovabili per prevenire shock economici, oltre che per evitare un esito catastrofico del cambiamento climatico“, aggiunge Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club.
Misure che da Lunedì scorso, nel quasi totale silenzio mediatico, vengono discusse alla 19esima Conferenza dell’ONU sul clima, dove, fino al 22 novembre, 192 Paesi partecipano con un solo obiettivo: diminuire le emissioni di carbonio entro il 2020.
L’infografica dell’Ue sui cambiamenti cliamtici pubblicata in occasione della Cop19
Difficile dire se ci riusciranno, soprattutto viste le premesse. Eppure, capitolata (si spera) per sempre l’epoca del negazionismo, il piano da seguire appare più che chiaro, come spiegano i leader di sei delle più grandi organizzazioni non governative ambientali e di sviluppo del mondo, insieme con la Confederazione Internazionale dei Sindacati.
Sono Kumi Naidoo, Greenpeace International, Winnie Byanyima, Oxfam International, Sharan Burrow, International Confederation of Trade Unions, Harjeet Singh, ActionAid International, Samantha Smith, Leader, WWF International, Asad Rehman, Friends of the Earth (Europe), e Mohamed Adow Christian Aid, che proprio alla COP 19 hanno chiesto di:
1) Impostare e attuare obiettivi al 2020 per il clima con tagli alle emissioni che siano maggiori, e non minori, rispetto al passato.
2) Assicurarsi che il supporto finanziario e tecnologico, promesso per i più vulnerabili del mondo, venga assegnato in modo che tutti possano adattarsi agli impatti climatici.
3) Dare protezione alle persone provenienti dai Paesi che affrontano i nuovi rischi provocati dal clima cambiato (cioè un meccanismo significativo sulle perdite e sui danni).
4) Fermare i sussidi pubblici alle imprese energetiche sporche e sostenere misure finanziarie più “green” a livello globale, con la creazione di un conto energía globale che porti energia pulita e conveniente anche ai più poveri del mondo.
5) Fornire finanziamenti pubblici su vasta scala per sostenere gli sforzi di adattamento e stabilire un meccanismo significativo per far fronte a ‘perdite e danni’ (loss and damage).
Se tutto questo non sarà fatto, sarà il fallimento. “Un fallimento – si legge nell’appello – da parte dei governi dei Paesi sviluppati, verso i loro obblighi giuridici e morali, governi che stanno costantemente minando questo processo, negoziando in malafede senza avere nulla da offrire. Un fallimento dei governi dei Paesi in via di sviluppo nel difendere le esigenze e i diritti dei propri cittadini. Un nostro fallimento per non aver saputo amplificare abbastanza la chiamata all’azione della gente comune e fare tutto quanto in nostro potere per scongiurare la crisi climatica”.
Roberta Ragni
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