entro il prossimo anno anche Torino, già oggi la città più teleriscaldata d’Italia, vedrà il 55% della volumetria urbana raggiunto dal servizio di teleriscaldamento, per un totale di circa 550.000 persone, cioè oltre la metà della popolazione della città.
Torino come New York? Velleità urbane che nulla hanno a che vedere con fenomeni di costume, star del cinema o nuove tendenze bensì con il futuro energetico della città italiana che sempre più sembra avvicinarsi a quello messo in atto ormai da oltre un secolo dalla Grande Mela. Stiamo parlando di quel fenomeno visibile lungo i marciapiedi di Manhattan e che fa sì che esca fumo dai tombini in ogni momento della giornata o dell’anno. Per chi non avesse mai trovato giustificazione a questo strano evento, diciamo che si tratta dell’effetto collaterale prodotto dal calore che, sotto la superficie stradale, scorre lungo chilometri di tubi coibentati che alimentano la vastissima rete del teleriscaldamento newyorkese. La notizia vuole che entro il prossimo anno anche Torino, già oggi la città più teleriscaldata d’Italia, vedrà il 55% della volumetria urbana raggiunto dal servizio di teleriscaldamento, per un totale di circa 550.000 persone, cioè oltre la metà della popolazione della città.
Per spiegare i meriti di questa tecnologia energetica dobbiamo proiettarci per qualche minuto nel grigiore fumoso che ricopre le città durante il periodo invernale. Lo smog o quello che più comunemente definiamo inquinamento atmosferico è in buona parte determinato dal traffico veicolare. La torta delle percentuali prevede anche che una buona fetta dell’impatto ambientale sia da rintracciare nella cosiddetta combustione non industriale, cioè nel riscaldamento e produzione di acqua calda di matrice domestica. Il peso che questi fattori hanno sulla salubrità dell’aria è molto variabile e dipende da diversi fattori fisici e umani: caratteristiche climatiche, struttura urbana, modello economico, aspetti culturali, governo del territorio, ecc.
Alcuni dei processi risolutivi con i quali è possibile ridurre l’impatto ambientale di questi fenomeni ci sono ormai noti e fanno capo ai cittadini e al senso di responsabilità che dovrebbe sempre più guidare le nostre scelte di consumo: miglioramento dell’efficienza degli spazi abitativi (aumento dell’isolamento termico degli edifici, sistemi di termoregolazione degli ambienti e contabilizzazione autonoma, riduttori di flusso acqua, uso di combustibili meno inquinanti, miglioramento dei sistemi di produzione del calore (caldaie a condensazione, pompe di calore, solare termico…). A questi si sta aggiungendo in maniera preponderante negli ultimi anni anche il teleriscaldamento, un’opportunità che l’Italia ha imparato a conoscere con notevole ritardo rispetto ai paesi anglosassoni dove in tempi meno sospetti si è già iniziato a distribuire calore nei condomini, evitando il problema di far installare in ciascuna abitazione la caldaia bensì centralizzando la produzione di acqua calda in una centrale situata a breve distanza dal quartiere.
Sì, perché il teleriscaldamento funziona con il classico meccanismo de “il miglior risultato con il minimo sforzo”: concentrando la produzione di calore in un unico luogo (la centrale), generalmente fuori dal cuore cittadino, si consente di eliminare le singole caldaie tradizionali e di delegare quindi tutta la manutenzione, dispersione di calore e parallela generazione di inquinamento nell’aria in un solo punto. Gli utenti, dal loro canto, non acquistano più il combustibile, ma direttamente l’energia termica, che viene trasportata dalla centrale alle abitazioni sotto forma di acqua calda. Inoltre, maggiore è il numero di abitazioni collegate a una rete e migliore è il coefficiente di contemporaneità cioè il rapporto tra la potenza produttiva e la richiesta termica necessaria nello stesso slot temporale.
La centrale produttrice può a sua volta essere ulteriore strumento di razionalizzazione energetica dal momento che può usufruire sia di fonti rinnovabili sia di tecnologie cogenerative. Questa seconda opzione prevede che la generazione di calore provenga dalle dispersioni prodotte dalle centrali elettriche che in questo modo, invece di perdersi nell’aria e finire appiccicate sullo strato d’ozono, vengono convogliate e rese produttive per alimentare la diffusione di acqua calda nella rete.
Torino non è certo l’unica città in Italia a essersi accorta del valore aggiunto del teleriscaldamento, anche se al momento è sicuramente quella che si è impegnata maggiormente a farne uno dei capisaldi del miglioramento della qualità ambientale della città. Un rapporto di Legambiente del 2008 censiva la presenza di 267 impianti distribuiti in altrettanti municipi e oltre 460 mila utenze, tra residenziali e produttive, servite, per un totale di 1.217 milioni di metri cubi riscaldati.
Da allora i numeri sono decisamente cambiati. In meglio. Prima di Torino, altri capoluoghi come Vicenza e numerosi comuni del centro nord hanno intrapreso la via del teleriscaldamento. Un segnale in fondo positivo se consideriamo che – come sottolinea Legambiente – “esso svolge, proprio a causa del peso che hanno i consumi di energia termica (circa 12.000 kWh/anno a famiglia), un ruolo fondamentale in un’ottica di efficienza energetica“.
Si potrebbe aggiungere che ne guadagna anche la sicurezza domestica. L’acqua calda, motore termico del teleriscaldamento, non è un combustibile, non brucia e non scoppia. Non producendo fiamma non rilascia residui di combustione negli ambienti chiusi. E la manutenzione della caldaia è delegata all’ente produttore e non più al singolo cittadino. A fronte dei numerosi incidenti domestici causati proprio da impianti non controllati o non ben puliti è evidente cosa questo significhi.
Pamela Pelatelli