Produrre vino di qualità senza inquinare, riducendo al massimo le emissioni è una sfida che Michele Mannelli di Salcheto sta decisamente vincendo. Quando due anni fa lo abbiamo conosciuto anche noi avevamo scommesso su di lui, nonostante il suo progetto di costruire una cantina completamente offgrid e autosufficiente dal punto di vista energetico, sembrava il delirio di un giovane imprenditore ansioso di salire sul treno della green economy.
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Produrre vino di qualità senza inquinare, riducendo al massimo le emissioni è una sfida che Michele Mannelli di Salcheto sta decisamente vincendo. Quando due anni fa lo abbiamo conosciuto anche noi avevamo scommesso su di lui, nonostante il suo progetto di costruire una cantina completamente offgrid e autosufficiente dal punto di vista energetico, sembrava il delirio di un giovane imprenditore ansioso di salire sul treno della green economy.
All’epoca, quando mostrò a tutti i rendering della sua nuova cantina, dichiarando fermamente che nel giro di pochi anni si sarebbe affrancato del tutto dal petrolio e dal servizio elettrico, furono in tanti ad applaudirlo, ammirarlo, ma anche a sorridere. Oggi però, poter assistere alla sua vendemmia 2012 in quello che potremmo definire il tempio green del vino, è un piacere e un’esperienza che fa davvero sperare in un Italia migliore.
Rendering della cantina
Perché, forse, la green economy può essere davvero la chiave per uscire dalla crisi, per competere a livello internazionale, puntando sulle eccellenze che ci contraddistinguono e creando valore aggiunto. Non a caso, l’esperienza di Salcheto è stata inserita tra le case-history più virtuose del libro di Ermete Realacci “Green Italy, perché ce la possiamo fare” e non a caso sta diventando un modello da esportare all’estero.
Il Vino
Proprio come il suo vino, un prodotto tra i più rinomati e richiesti in tutto il mondo. Il Salco, quello più pregiato è ricavato da vigneti maturi, di oltre 25 anni, e invecchiato in botte. Il termine in toscano antico significa “salice” mentre Salcheto è il nome del ruscello che attraversa la terra su cui sono a dimora i vigneti. Lungo il corso del ruscello, un tempo, crescevano un gran numero di salici i cui rami servivano alla legatura delle vigne. Da poco sono stati ripiantati quegli stessi salici nelle zone della tenuta non idonee alla viticoltura e saranno utilizzati per produrre legna necessaria per riscaldare la cantina, con l’intento di creare un sistema ecologico in azienda che sia energeticamente autonomo al 100%. Perché oggi il Salco è diventato una vera e propria icona della green economy del vino.
La cantina off-grid
Vedere materializzata e operativa la cantina, che sulla carta si presentava come un bel concept di bioarchitettura e un ambizioso progetto di azienda agricola ecosostenibile, è stato veramente impressionante. Calcolando anche i tempi brevissimi in cui è stata realizzata: esattamente quelli preannunciati. Da grande appassionata di vino e giornalista ambientale, già quei disegni mi avevano conquistata, ma poter ammirare dal vivo questa struttura perfettamente integrata allo splendido paesaggio delle colline senesi, per di più in piena attività, è stato entusiasmante.
Panoramica dal cortile della cantina
La cantina, che si sviluppa su una superficie di 3.400 mq, si presenta “green” fin dal primo sguardo: a partire dal tetto verde che ricopre interamente l’edificio e che ne garantisce l‘isolamento termico oltre a limitare l’impatto visivo sul paesaggio.
Il giardino verticale che favorisce l’isolamento termico
Ma è solo visitandola al suo interno che è possibile coglierne tutte le peculiarità che la rendono potenzialmente autonomia dalla rete elettrica e dal gas. Ma non solo. Oltre ad essere concepita per rispettare l’ambiente, la cantina è pensata per garantire anche la qualità del vino – limitando al massimo gli spostamenti dell’uva – e la sicurezza dei lavoratori – attraverso sistemi che automatizzano e facilitano il trasporto e la pulizia delle botti e dei carichi pesanti.
Si parte dal piazzale antistante la piccola e caratteristica enoteca aperta al pubblico, arredata con mobili in pallet riciclati che, oltre a servire il vino dell’azienda, prepara semplici piatti tipici della tradizione toscana, rigorosamente a chilometri zero.
L’entrata dell’Enoteca
L’enoteca
I bicchieri dell’enoteca realizzati con le bottiglie del vino
Non un semplice cortile dalla quale ammirare il paesaggio, questo perché è da qui che inizia il percorso di lavorazione dell’uva: è qui che essa giunge non appena raccolta ed è qui che viene ulteriormente selezionata a mano prima di essere torchiata e separata dal raspo. È il tetto della cantina, il suo punto più alto, la sua principale fonte di luce e il fulcro di tutto il processo produttivo.
I chicchi d’uva ulteriormente selezionati uno ad uno
È da questo piazzale, infatti, che si diramano gli speciali collettori solari, tubi specchiati che convogliano la luce naturale all’interno e, contemporaneamente, una volta aperti e collegati, trasportano il mosto direttamente nelle botti d’acciaio collocate al piano subito inferiore.
Il collettore solare a specchi che veicola la luce, ma trasporta anche l’uva nelle botti
Proprio grazie a questi collettori la cantina risulta giustamente illuminata, mentre il verde verticale dell’esterno, insieme ad un sistema di ventilazione naturale fredda, permette di mantenere la cantina alla perfetta temperatura, proteggendola dal caldo estivo.
La CO2 prodotta dalla fermentazione, invece, viene trattenuta e sfruttata come fonte di energia per alimentare le pompe che movimentano i vini dalle botti di cui, quelle in legnorigorosamente certificate PEFC.
Le botti in legno certificato PEFC sono adagiate su un sistema che minimizza gli sforzi e tutela la sicurezza dei lavoratori
Tutte queste accortezze, sommate, permettono un risparmio energetico del 54%.
Il restante fabbisogno viene coperto dal mix di biomasse prodotte in azienda, dal geotermico, così prezioso in Toscana e dal fotovoltaico. In particolare, la caldaia che produce il 29% dell’energia, viene alimentata dagli scarti della vendemmia, ossia il cippato da vigneto oltre che dalla combinazione delle macchie arbustive, il salco appunto, e da coltivazione alborea per un totale di 365.500 kWh/anno.
Dal geotermico, che sfrutta 900 mt di sonde interrate a bassa profondità lungo i filari, proviene invece il 15% dell’energia necessaria soprattutto per raffrescare la cantina d’estate, mentre dall’impianto fotovoltaico da 20kW proviene il restante 2% di energia elettrica.
In questo modo il sito risulta completamente off-grid e staccabile dalla rete di distribuzione energetica nazionale anche se al momento, essendoci già una rete elettrica pregressa, l’accumulo dell’energia elettrica residuale viene operato con lo scambio sul posto diurno e il recupero della corrente dalla stessa rete. Una scelta, questa, tecnicamente e ambientalmente più efficiente.
Il progetto è stato realizzato dai designer de La fabbrica del sole, gli stessi che in questi giorni hanno lanciato la Off-grid Academy. L’investimento occorso per completare l’efficientamento energetico è stato pari a 350mila euro a fronte di un risparmio in bolletta di 46mila euro l’anno, dunque ammortizzabile in pochi anni. Anche perché rispetto a una cantina tradizionale, quella di Salcheto attraverso tali tecnologie necessita del 25% in meno di potenza termica (da 200 kW passa a 150 kW) e meno 35% di potenza elettrica (da 80 kW a 50 kW). E, rispetto a una cantina tradizionale, per produrre una bottiglia di vino da 750 ml sono state immesse in atmosfera 1,58 chilogrammi di CO2 equivalenti contro gli 1,87 degli anni passati in cui ancora non veniva realizzato nella nuova cantina. Tale dato, la cosiddetta Carbon Footprint è stato calcolato, prendendo in considerazione tutte le emissioni dirette e indirette dell’intero processo produttivo dal recupero delle materie prime allo stoccaggio finale.
La Carbon Footprint del vino
L’impronta carbonica del vino, frutto del complesso studio di un apposito gruppo di lavoro che ha coinvolto anche l’Università di Siena rappresenta il primo benchmark per il settore in quanto, finora mai nessuno aveva provato a calcolare l’impronta carbonica di una bottiglia di vino. Per questo è stata anche la prima ad essere certificata nell’ambito di un inventario dei gas climalteranti basato sullo standard ISO 14064. E vuole oggi diventare un modello da esportare anche all’estero, uno standard per tutto il settore vitivinicolo.
Si tratta di un traguardo di grande importanza per il mondo-vino in quanto l’analisi dell’impatto ambientale misurata in termini di emissioni di CO2 è uno strumento essenziale che consente di migliorare le proprie performance e comunicarlo in maniera chiara, trasparente e certificabile al consumatore attraverso un semplice indice numerico.
Anche perché il carbon footprint messo a punto non si ferma alla sola produzione, ma tiene in considerazione anche il trasporto sino al consumatore finale. Ma come calcolare l’impatto sull’ambiente di una bottiglia di Vino Nobile di Montepulciano stappata a Tokio o a San Francisco? Per far ciò il gruppo di ricercatori coinvolti nel progetto ha messo a punto uno strumento semplice ed efficace. Attraverso un QR Code sull’etichetta della bottiglia, leggibile da qualsiasi smartphone, è possibile infatti, collegandosi ad internet, accedere al calcolatore che indicherà la quantità di emissioni legate al consumo di quella bottiglia in quel determinato luogo. I consumatori potranno così rendersi conto dell’effettivo impatto sull’ambiente delle proprie scelte di consumo. Prima assoluta nel suo genere, questa funzionalità dinamica che si basa su di un data base di calcolo certificato da CSQA in base alla norma Iso 14064, è il fulcro innovativo del progetto e rappresenta la vera prospettiva di crescita socio-culturale verso i temi delle emissioni. L’utente potrà toccare con mano quanto le sue scelte di consumo, influenzando i flussi commerciali, pesino in maniera diversa sull’ambiente: oltre all’indice di produzione l’utente vedrà apparire il peso della distribuzione.
“Un elogio al tanto acclamato “km 0”? Senza dubbio un richiamo alla riflessione, attraverso una maggiore consapevolezza, del ruolo chiave del consumatore che, attraverso le sue scelte, influenza il sistema” spiegano Manelli e il suo gruppo di lavoro – “Una consapevolezza e un percorso riflessivo che dovranno necessariamente intersecarsi con qualsiasi altro fattore decisionale, primo fra tutti la qualità: se ne bevo poca che almeno si emetta poco, no…? Ma un percorso che potrebbe anche collegare le scelte di consumo tra di loro. Oggi disponiamo di tanti elementi per valutare l’impatto delle molteplici azioni di vita quotidiana: beviamoci una buona bottiglia stasera e non guidiamo neanche domani“.
A cosa rinunci per una buona bottiglia di vino?
È in quest’ottica che Salcheto ha raccolto tante piccole storie di vita vera che animano questo nuovo e interessante strumento. Da Tokyo a Milano gli amanti del vino Salco hanno raccontato la loro storia e ciò a cui rinunciano – in termini di emissioni – per bere una bottiglia di buon vino.
Queste storie rappresentano solo alcuni spunti di riflessione, un quadro comunque interessante da riepilogare:
Le sfide per il futuro
Ma tutto ciò, come detto, è solo un punto di partenza per Michele e il suo gruppo di lavoro. Quali sono le sfide e gli obiettivi che si sono prefissati per il futuro prossimo?
Per prima cosa far diventare quest’esperienza un modello da esportare e il carbon footprint un vero e proprio standard del settore vitivinicolo con l’obiettivo di promuovere l’etica ambientale in riferimento all’efficienza energetica e alla definizione di altri strumenti di misura dell’impatto ambientale, attraverso attività di ricerca, coordinamento e comunicazione. A partire da quelli che tengono in considerazione il consumo dell’acqua. Ma, oltre alla messa a punto dell’impronta idrica, il gruppo di lavoro – composto dal Prof. Ing. Domenico Andreis (coordinatore), dal Prof. Riccardo Basosi, dal Dott. Francesco Miglietta, dal Dott. Antonio Ferro, dal Dott. Michele Crivellaro, dall’Ing. Leonard Bernardelli, dal PhD Paolo Fulini ed è presieduto da Michele Manelli – si sta impegnando anche sul fronte della ricerca di packaging alternativi al vetro e su quello dello sviluppo di un mezzo agricolo ad alimentazione alternativa al gasolio.
Visto l’entusiasmo che anima l’intero progetto e Montepulciano tutta, siamo certi che saranno sfide vinte a breve. Un successo esemplare per il made in Italy e per la green economy.
foto e testi: Simona Falasca
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