Rajendra Singh, l’uomo che ha riportato acqua in 5 fiumi e in oltre 1000 villaggi in India

Lo hanno soprannominato “Waterman of India” per il suo prezioso contributo nel rendere disponibile l’acqua alle popolazioni di centinaia di villaggi. Vivere lontani dalle fonti d’acqua potabile significa percorrere chilometri ogni giorno per raggiungere l’oro blu, un compito molto pesante che di solito viene affidato alle donne.

Lo hanno soprannominato “Waterman of India” per il suo prezioso contributo nel rendere disponibile l’acqua alle popolazioni di centinaia di villaggi. Vivere lontani dalle fonti d’acqua potabile significa percorrere chilometri ogni giorno per raggiungere l’oro blu, un compito molto pesante che di solito viene affidato alle donne.

Ma Rajendra Singh ha deciso di mettersi in gioco per fare la differenza. Nello stato del Rajastan è considerato un vero e proprio eroe perché da solo è riuscito a riportare acqua in cinque fiumi che risultavano a secco da decenni.

Dopo la laurea in medicina ayurvedica, Singh nel 1985 si trasferì nel quartiere di Alwar Rajastan con l’intenzione di dedicarsi all’agricoltura per occuparsi di guarigione non soltanto rispetto al popolo indiano ma anche per quanto riguarda l’ecosistema sofferente di quella regione semi-arida.

Singh aveva notato che la popolazione della zona stava diminuendo e che la maggior parte degli abitanti del villaggio avevano lasciato le loro case dopo che il fiume Arvari si era prosciugato negli anni Quaranta. Spinto da un forte desiderio di aiutare gli abitanti del villaggio, si assunse il compito di riportare l’acqua in quelle terre.

Per compiere la propria missione ha elaborato una strategia unica attingendo alle conoscenze antiche indiane di geologia, idrologia e ecologia. Ha introdotto il concetto di “johads”, dei serbatoi di stoccaggio dell’acqua piovana costruiti in pietra o con altri materiali disponibili. Questi serbatoi sono serviti per ricostruire i livelli d’acqua sotterranea e superficiale in fiumi e torrenti.

L’acqua raccolta durante la stagione delle piogge, grazie a questi serbatoi, può essere utilizzata dalle popolazioni dei villaggi per tutto il resto dell’anno. Inoltre l’acqua immagazzinata filtra lentamente nel terreno e va a riempire le falde acquifere.

Ha in seguito costruito delle dighe su piccoli fiumi e torrenti. Queste dighe non fermano completamente il flusso d’acqua ma formano laghetti che gli abitanti possono usare per le proprie esigenze. L’acqua in eccesso continua a scorrere a valle.

Nel corso degli anni la sua strategia ha funzionato. L’acqua catturata dai johads durante i monsoni ha potuto colmare le falde acquifere per la fornitura locale di acqua potabile e ha aiutato a rinverdire la vegetazione di oltre 1000 villaggi.

Il fiume Arvari è tornato in vita insieme ad altri quattro fiumi della regione. La copertura forestale della zona è aumentata del 33%. Le persone che avevano abbandonato i villaggi lentamente hanno iniziato a fare ritorno a casa, al loro stile di vita tradizionale.

L’aver riportato in vita un fiume che risultava prosciugato da decenni, grazie a strumenti rudimentali, è considerato un vero e proprio miracolo della vita reale. Ispirato dal successo ottenuto, Singh ha fondato l’organizzazione no-profit Tarun Bharat Sangh (TBS), attraverso la quale aiuta migliaia di persone a risolvere i problemi di scarsità d’acqua. Dal 1980, TBS ha costruito oltre 4500 johads che raccolgono l’acqua piovana in oltre 850 villaggi in 11 distretti in India.

Marta Albè

Fonte foto: thehindu.com

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