C'era una volta una centrale a carbone in abbandono, troppo costosa da abbattere e difficile da recuperare: la storia che stiamo per raccontarvi potrebbe iniziare proprio così, con l'immagine di un vecchio edificio, inutile e cadente. Siamo a Reykjavik, in Islanda, dove nel 2008 un gruppo composito di artisti, imprenditori, ingegneri e attivisti si è rimboccato le maniche per trasformare un sito industriale dismesso in un centro dedicato alla creatività e all'innovazione.
C’era una volta una centrale a carbone in abbandono, troppo costosa da abbattere e difficile da recuperare: la storia che stiamo per raccontarvi potrebbe iniziare proprio così, con l’immagine di un vecchio edificio, inutile e cadente. Siamo a Reykjavik, in Islanda, dove nel 2008 un gruppo composito di artisti, imprenditori, ingegneri e attivisti si è rimboccato le maniche per trasformare un sito industriale dismesso in un centro dedicato alla creatività e all’innovazione.
Il sito in questione è Toppstöðin, l’ultima centrale a carbone a chiudere in battenti, negli anni Ottanta, quando l’Islanda ha deciso di rendersi indipendente dalle fossili e di puntare sulle rinnovabili. Per vent’anni, dal 1988 al 2008, la centrale, con la sua grande struttura cupa seminascosta dagli alberi e adagiata lungo il corso di un fiume, ha versato in uno stato di crescente abbandono, diventando un rifiuto ingombrante che nessuno sapeva come gestire.
La svolta è giunta nel bel mezzo della crisi economica che ha travolto il sistema bancario islandese, dimezzando il valore della moneta locale e facendo perdere il lavoro a moltissime persone. Per reazione, per dimostrare che un nuovo corso e una rinascita erano possibili, un gruppo di attivisti, designer, artisti, ingegneri e imprenditori ha chiesto in prestito l’edificio della centrale al Comune di Reykjavik e ha cominciato a lavorarci, con l’obiettivo di creare strutture e spazi in cui le persone di talento potessero escogitare e tradurre in realtà delle idee innovative.
Senza un vero budget ma con tanta buona volontà, il vecchio sito industriale si è trasformato, a poco a poco, in una piccola fucina di innovazione e in un vero e proprio hub culturale, al servizio della città e dei cittadini, diventando un modello virtuoso per il recupero e la riconversione delle vecchie centrali elettriche.
I locali interni vengono affittati ad un canone mensile di soli 100 dollari ad artisti e imprenditori, in particolare a giovani startupper, con tante idee ma pochi soldi, che vogliano farne il loro luogo di lavoro. Per questo, tra le mura di Toppstöðin nascono progetti imprenditoriali di varia natura – che toccano ambiti quali la tecnologia, la moda e l’innovazione sostenibile -, si tengono concerti ed esibizioni e vengono persino girati dei video musicali.
Come ammettono i fondatori e gestori del centro, anche se molto è stato fatto, tanto ancora si potrebbe fare per migliorare la situazione ed aumentare le attività e le proposte, a partire dal restauro di alcune aree, fino al recupero e alla riconversione delle aree interne finora inutilizzate.
Andri Snær Magnason, scrittore, ambientalista e co-fondatore di Toppstöðin, sogna di potervi realizzare sale espositive, palcoscenici e persino uno studio cinematografico: ma si tratta di interventi piuttosto costosi, che necessiterebbero di un budget di circa 5 o 6 milioni di dollari, e che quindi dovranno attendere ancora un po’ per diventare realtà. E, al di là della cronica carenza di fondi, il progetto ha già centrato un obiettivo importante.
“Ho iniziato a lavorare a Toppstöðin spinto da motivazioni ambientali.” – racconta Magnason – “Il nostro Governo sosteneva che, per creare posti di lavoro, fosse necessario distruggere tanti spazi naturali. Penso che qui abbiamo dimostrato il contrario, mettendo in questo progetto non soldi, ma tempo e talento.”
Tempo, talento e buone idee, insomma, possono essere più forti di una crisi economica, aiutando a mettersi alle spalle gli errori del passato e a guardare al futuro come ad una pagina nuova, tutta da inventare.
Lisa Vagnozzi
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