Yacouba Sawadogo, l’agricoltore africano che ha ‘fermato’ il deserto

Si può combattere contro il deserto, coltivando una foresta e rendendo fertili delle aree brulle e inospitali? A quanto pare, sì, come ci insegna la storia di Yacouba Sawadogo, un contadino del Burkina Faso che da oltre trent’anni combatte contro la desertificazione utilizzando un’antica pratica agricola africana.

Si può combattere contro il deserto, coltivando una foresta e rendendo fertili delle aree brulle e inospitali? A quanto pare, sì, come ci insegna la storia di Yacouba Sawadogo, un contadino del Burkina Faso che da oltre trent’anni combatte contro la desertificazione utilizzando un’antica pratica agricola africana.

Siamo nel Sahel, un’ampia fascia geografica che si estende a sud del Sahara e che segna il passaggio dal deserto alla savana. Si tratta di un’area ad alto tasso di desertificazione, spesso segnata da prolungati periodi di siccità e da drammatiche emergenze alimentari, e in cui il suolo è estremamente povero, sia a causa del clima che per via dell’abuso di alcune pratiche, quali l’agricoltura intensiva e la pastorizia.

Quando, intorno al 1980, Yacouba Sawadogo ha iniziato a lavorare la terra “a modo suo”, i suoi metodi erano così “strani” da suscitare l’ilarità e lo scherno degli altri contadini. L’agricoltore, infatti, aveva scelto di far rivivere, aggiornandola, una tecnica agricola antica e a basso costo, quella delle fosse zai, che consiste nello scavare nel suolo secco e brullo dei microbacini in grado di trattenere l’acqua. Per questo, Yacouba aveva cominciato a produrre tanti fori sul terreno, aumentandone le dimensioni rispetto a quanto previsto dalla pratica tradizionale e riempiendoli poi di compost (in massima parte di foglie e letame).

La pratica delle fosse zai prevede che i terreni vengano preparati durante la stagione secca, in modo che, nel corso della stagione delle piogge, i fori pieni di compost catturino l’acqua, trattenendo l’umidità e le sostanze nutrienti per renderle disponibili anche nei mesi successivi e permettere la semina delle diverse specie vegetali.

Grazie a questo metodo così semplice, Yacouba Sawadogo è riuscito a migliorare la qualità dei propri terreni e a convertire un’area completamente brulla in un bosco di oltre dodici ettari, che ospita più di 60 specie di alberi, accanto a cereali e a erbe medicinali. Di fronte a risultati così evidenti, gli altri agricoltori della regione hanno dovuto ricredersi e molti di loro si sono decisi ad adottare la “strana” tecnica di Yacouba, aumentando il numero di terre tornate produttive.

Yacouba li ha istruiti personalmente, creando, nella sua fattoria, un laboratorio aperto ai visitatori, in modo da diffondere il più possibile le sue conoscenze.

“Voglio che il programma di formazione sia il punto di partenza di molti scambi proficui in tutta la regione.” – ha dichiarato in proposito – “Se si rimane nel proprio piccolo angolo, tutte le conoscenze che si hanno non saranno di alcuna utilità per l’umanità.”

La sua storia è raccontata in un documentario realizzato nel 2010 dal regista britannico Mark Dodd, il cui titolo è, significativamente, “L’uomo che ha fermato il deserto”. Il film, che mostra anche le difficoltà e l’ostracismo che Yacouba ha dovuto affrontare all’inizio della sua avventura, ha contribuito a farlo conoscere meglio al mondo e a diffondere in altre aree del continente africano l’impiego delle sue tecniche (non solo la pratica delle fosse zai, ma anche quella dei cordons pierreux, delle micro-dighe che, trattenendo l’acqua, ne facilitano l’assorbimento da parte del terreno).

Nonostante il successo del film e la fama raggiunta sia a livello locale che internazionale, Yacouba Sawadogo si trova ancora oggi a dover lottare per salvaguardare la sua opera. Una parte della foresta che ha fatto rinascere e dei suoi terreni, infatti, gli è stata espropriata, annessa alla vicina città di Ouahigouya e inclusa in un progetto governativo di espansione urbana.

Per questo, l’agricoltore e la sua numerosa famiglia – a cui in cambio delle terre è stata offerta, a titolo di compensazione, la proprietà di un piccolo lotto – hanno ingaggiato una battaglia legale e stanno raccogliendo dei fondi per riacquistare l’intera proprietà. Nel frattempo, l’opera di Yacouba continua in altri terreni aridi dell’area, con l’obiettivo di farli tornare produttivi.

“Se tagliamo dieci alberi ogni giorno e non riusciamo a piantarne neppure uno all’anno, ci avviamo verso la distruzione.” continua a ripetere, e non possiamo non essere d’accordo con lui.

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