Secondo un dossier di Legambiente, la perdita della biodiversità comporta in termini economici un danno pari al 7% del PIL globale
Il ritmo con cui la Terra sta perdendo il proprio patrimonio di diversità di specie animali e vegetale, la biodiversità, è da 100 a 1000 volte più veloce del normale. È quanto emerge dal dossier “Biodiversità a rischio 2011”, reso noto da al convegno Terra futura (Firenze), dati confermati anche dalla campagna dell’IUCN (l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) volta a limitare i danni causati dall’uomo che portano alla perdita di biodiversità.
Secondo Legambiente, anche dal punto di vista economico la perdità del patrimonio di specie animali e vegetali è tutt’altro che positiva: se non si gestirà con attenzione il problema dei cambiamenti climatici, stima l’associazione che entro il 2050 tale perdita sarebbe pari al 7% del PIL globale.
Un vero e proprio disfacimento, quello in atto a livello globale. Secondo la FAO, inoltre, “il 60% degli ecosistemi mondiali sono ormai degradati o utilizzati secondo modalità non sostenibili, il 75% degli stock ittici sono troppo sfruttati o impoveriti in modo eccessivo e dal 1990 abbiamo assistito alla perdita di circa il 75 % della diversità genetica delle colture agricole a livello mondiale“.
Ma ci sono altri danni irreparabili, come la perdita del 20% delle barriere coralline tropicali, a cui abbiamo detto definitivamente addio per colpa dei cambiamenti climatici. A rischio anche il 95% di quelle restanti, che potrebbero non arrivare al 2050.
In Europa. Nel Vecchio Continente, secondo Legambiente, solo il 17% delle specie e degli habitat e l’11% degli ecosistemi principali protetti dalla legislazione sono in buone condizioni. Di contro, il 25% circa delle specie animali tra cui mammiferi, anfibi, rettili, uccelli e farfalle sono già a rischio di estinzione. Un esempio? Dal 1990 il numero delle specie comuni di uccelli è diminuito di circa il 10%.
In Italia. Secondo il dossier, nel nostro Paese si può ancora fare molto per favorire la tutela della biodiversità visto che esiste una grande varietà di zone climatiche e paesaggi differenti. Basti pensare che l’Italia detiene circa un terzo della biodiversità attualmente presente in Europa. Tradotto in cifre significa: circa 58 mila specie, di cui 55 mila invertebrati, 1.812 protozoi e 1.258 vertebrati. Anche per la fauna, possiamo fare molto visto che nel nostro paese crescono circa la metà delle specie vegetali presenti nel territorio europeo: ben 6.711 specie. Anche la flora biologica italiana, comprendente muschi e licheni, è una delle più ricche d’Europa con 1.130 specie, di cui 851 muschi e 279 licheni.
“Nonostante ci sia ancora moltissimo lavoro da fare – ha dichiarato Antonio Nicoletti, responsabile aree protette di Legambiente – ci sono alcuni segnali incoraggianti che arrivano da progetti specifici, realizzati ad esempio dalle Aree Protette, che dimostrano il valore e l’efficacia di queste istituzioni per la conservazione della natura e la salvaguardia delle specie a rischio. La tutela dei territori è infatti una strategia efficace per contenere la perdita di biodiversità e non una limitazione libertà degli individui”.
“Gli impegni assunti a Nagoya – conclude Nicoletti – e la Strategia Europea impegnano il nostro Paese ad avere un comportamento più coerente e virtuoso per contenere la perdita di biodiversità. Non bastano solo i proclami ma servono politiche attive per tutelare le specie a rischio, come l’orso, e soprattutto investimenti finanziari adeguati, partendo dalle risorse sulle aree protette, che non vanno tagliate ma incrementate”.
Francesca Mancuso