Le 5 più grandi multinazionali del petrolio e del gas al mondo hanno investito qualcosa come un miliardo di dollari per contrastare le politiche sui cambiamenti climatici. Se c'è qualcuno che dovrebbe e potrebbe concretamente fare qualcosa per salvare la Terra, sono proprio loro eppure vanno completamente nella direzione opposta
Le 5 più grandi multinazionali del petrolio e del gas al mondo hanno investito qualcosa come un miliardo di dollari per contrastare le politiche sui cambiamenti climatici. Se c’è qualcuno che dovrebbe e potrebbe concretamente fare qualcosa per salvare la Terra, sono proprio loro eppure vanno completamente nella direzione opposta.
A denunciarlo è il nuovo rapporto di InfluenceMap “Big Oil’s Real Agenda on Climate Change”, secondo cui ExxonMobil, Royal Dutch Shell, Chevron, BP e Total negli ultimi 3 anni, ossia dalla firma dell’Accordo di Parigi, hanno investito un miliardo di dollari, esercitando anche pressioni, per proteggere ed espandere le loro operazioni sui combustibili fossili.
InfluenceMap ha monitorato la spesa per le campagne di branding e lobbying sul clima da parte delle 5 multinazionali petrolifere da quando le nazioni del mondo hanno aderito all’Accordo di Parigi nel 2015. E i risultati sono stati a dir poco sorprendenti. Esse hanno investito in media 195 milioni di dollari all’anno in campagne di branding, dicendo di sostenere un’agenda climatica ambiziosa, eppure secondo il rapporto spendono altri 200 milioni per controllare, ritardare o opporsi a politiche climatiche vincolanti. Di fatto, i loro “sforzi” dichiarati sono in gran parte in conflitto con gli obiettivi di questo importante accordo globale sul clima.
BP, ad esempio, ha donato 13 milioni di dollari per una campagna, supportata anche da Chevron, che ha bloccato con successo una tassa sul carbonio nello stato americano di Washington.
Inoltre, secondo il dossier, essa è vanta la più alta spesa annuale per la lobbying climatica con 53 milioni di dollari, seguita da Shell con 49 milioni e da ExxonMobil con 41 milioni. Chevron e Total spendono ogni anno circa 29 milioni di dollari per finanziare gruppi anticlimatici.
E tutti e cinque sono membri di gruppi commerciali come l’American Petroleum Institute, che lo scorso anno ha portato avanti una campagna per deregolamentare lo sviluppo di petrolio e gas negli Stati Uniti e ridurre i regolamenti sulle emissioni di metano.
Queste azioni sono “in schiacciante in conflitto” con gli obiettivi climatici di Parigi, sottolinea il dossier.
“Le major petrolifere si stanno proiettando come attori chiave nella transizione energetica mentre fanno pressioni per ritardare, indebolire o opporsi a una politica climatica significativa”, ha detto Edward Collins, analista di InfluenceMap che ha diretto lo studio.
Secondo il rapporto, le major petrolifere hanno adattato le loro strategie di messaggistica dopo l’accordo di Parigi perché hanno capito che l’attenzione pubblica si stava spostando a favore di un’azione più urgente sui cambiamenti climatici.
“Abbiamo ancora 11 anni per fermare il caos climatico: non ci può essere alcuna giustificazione per le compagnie petrolifere ad opporsi apertamente alla sua regolamentazione basata sulle emissioni” ha detto Jan Erik Saugestad, CEO di Storebrand Asset Management.
#ThrowbackThursday – new data reveals how @ExxonMobil, @Shell, @Chevron, @BP_Plc & @Total are #lobbying against meaningful action on #climatechange https://t.co/PfhWRL2hGb #BigOilLobby pic.twitter.com/7MkDev615t
— InfluenceMap (@InfluenceMap) 28 marzo 2019
La ExxonMobil, ad esempio, ha promosso la sua ricerca sui biocarburanti algali come una potenziale soluzione al riscaldamento globale. Ma i numeri della compagnia dimostrano che il suo obiettivo di 10.000 barili di biocarburante al giorno equivarrebbe a solo lo 0,2% dell’attuale capacità di raffinazione. Insieme, le 5 major prevedono di usare circa il 3% delle loro spese in conto capitale per il 2019 per tecnologie a basse emissioni di carbonio, mentre 110,4 miliardi di dollari saranno investiti in petrolio e gas.
“La ricerca di InfluenceMap conferma il sospetto comune che i resoconti lucidi sulla sostenibilità di Big Oil e le dichiarazioni sul clima siano retoriche e prive di azione. Queste aziende hanno imparato l’arte del doppio linguaggio aziendale” dice Catherine Howarth, Amministratore delegato di ShareAction “per sabotare l’attuazione della politica climatica sensibile, versando milioni in gruppi che si impegnano in attività di lobbying sporco per loro conto”.
Definirlo greenwashing è davvero riduttivo…
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Francesca Mancuso