"I Colli Albani, l’area vulcanica alle porte di Roma, inizia a dare segni di un futuro risveglio”: con queste parole l’Istituto di Geofisica e Vulcanologia annuncia i risultati di uno studio che indicherebbe un “risveglio” dell’area vulcanica dei Colli Albani, alle porte della Capitale.
“I Colli Albani, l’area vulcanica alle porte di Roma, inizia a dare segni di un futuro risveglio”: con queste parole l’Istituto di Geofisica e Vulcanologia annuncia i risultati di uno studio che indicherebbe un “risveglio” dell’area vulcanica dei Colli Albani, alle porte della Capitale.
Lo studio, in realtà pubblicato e divulgato a luglio, è stato oggetto recente di diffusione mediatica e di qualche allarmismo, anche a causa dei recenti terremoti che hanno devastato il centro Italia. Gli stati d’animo sono in allerta e il timore di un’eruzione vulcanica non aiuta la serenità.
Ma è veramente così?
Il risveglio del vulcano dei Colli Albani è pericoloso?
Lo studio parla in realtà di una “ricarica” che comunque dovrebbe mantenere il vulcano in una situazione di quiescenza, ovvero di calma, per almeno altri mille anni, tempo decisamente incompatibile con le nostre attuali vite ed in generale con un prossimo futuro.
Per approfondire la questione, abbiamo intervistato Silvio Seno, professore ordinario di Geologia strutturale presso l’Università degli Studi di Pavia.
Lo studio rivela un possibile “risveglio” del vulcano che potrebbe portare ad un’eruzione tra migliaia di anni. Possiamo dunque stare tranquilli per ora?
“Sì, direi che l’intervallo temporale è quello dello studio. E comunque l’attività vulcanica non si manifesta mai all’improvviso: manifesta tutta una serie di segnali che consentono di capire qual è l’evoluzione. L’intervallo di migliaia di anni, inoltre, ci deve tranquillizzare”.
Quali sono state le eruzioni in passato?
“I vulcani come quello dei Colli Albani si dicono ‘quiescenti‘, quindi non proprio spenti ma come “dormienti”. Le eruzioni passate di cui si ha traccia geologica dai prodotti eruttati sono state 10-11 e sono avvenute nell’arco temporale di circa 600 mila anni. Pertanto ogni ciclo eruttivo è avvenuto ogni circa 40 mila anni”.
Il risveglio graduale del vulcano potrebbe favorire un eventuale aumento di attività sismica nelle zone circostanti?
“Tutti i vulcani rilasciano dei piccoli terremoti perché implicano la fuoriuscita di materiali in superficie, che quindi creano fratturazioni. L’attività vulcanica è poi caratterizzata da fluidi che generano pressioni a loro volta causa di fratturazioni. In genere però si tratta di terremoti di piccola magnitudo, intorno a 3, massimo 4. Pertanto anche questo vulcano, in caso di aumento di attività, potrebbe essere causa di piccoli terremoti, ma piuttosto superficiali, quindi con area di risentimento circoscritta”.
Le scosse che hanno devastato il centro Italia influiscono sull’attività vulcanica dei Colli Albani?
“Non ci sono argomenti che lo possano documentare, quindi direi di no, vista anche la distanza di un centinaio di chilometri tra l’epicentro e l’area romana dei Colli Albani, e lo stato del vulcano, che non è vicino all’eruzione.
Se il vulcano fosse prossimo all’eruzione, quindi in una situazione di equilibrio precario in cui è “tutto pronto” per l’eruzione, un terremoto di grande magnitudo, anche se con epicentro non vicinissimo, potrebbe innescare un’eruzione. Ma noi non siamo assolutamente in questa condizione, anzi ne siamo ben lontani”.
L’edilizia in zone vulcaniche è comunque da evitare o, con le dovute accortezze, può essere incoraggiata?
“Il pericolo derivante da un vulcano deve essere trattato come viene trattato ogni pericolo che viene dalla natura, come terremoti, alluvioni, valanghe, se ci si trova in un’area vicina. La pianificazione del territorio deve tenere conto della pericolosità: ci sono delle normative e vanno rispettate. Chiaramente per fenomeni con tempi di ritorno ovvero cicli di attività molto lunghi c’è tendenza a dimenticare l’effetto di quel fenomeno. Questo magari vale in modo particolare per i vulcani, e quindi ci si ritrova con un patrimonio edilizio costruito in un periodo in cui non c’erano eruzioni, né manifestazioni conclamate di pericolo.
Quando poi è chiaro qual è il tipo di pericolo, magari ci si ritrova con una zona ormai urbanizzata e si deve fare i conti con quella. Le aree vulcaniche hanno una pericolosità che deve essere valutata, e la pianificazione del territorio deve tenere conto di questo, come di tutti gli altri pericoli.
Ma questo vulcano, come ci prospetta lo studio, ha almeno mille anni ancora di quiescenza, anche tenendo conto dell’incertezza, quindi direi un arco temporale piuttosto lungo, ben diverso da quello del Vesuvio o dell’Etna”.
Ma se l’intervallo temporale è veramente di migliaia di anni, perché è comunque necessario un monitoraggio continuo?
Ci si può aspettare un cambiamento repentino sulle tempistiche o è solo una questione prettamente scientifica?
“Innanzitutto lo studio scientifico di cui parliamo non getta allarme. Sostiene solo che, secondo l’interpretazione dei dati compiuta dagli autori, per esempio la deformazione del suolo di 1-2 mm all’anno, il vulcano si sta “ricaricando”.
I ricercatori hanno dimostrato che un fenomeno prima inesistente in quanto il vulcano era pienamente “addormentato”, ora dovrebbe suscitare interesse scientifico e monitoraggio, ma non perché ci sia imminente pericolo, ma perché è necessario capire che il decorso è realmente quello. E poi perché, come dicevamo prima, ci potrebbe essere una sismicità associata all’attività vulcanica che va comunque considerata”.
La nostra capitale è dunque molto meno eterna di quanto credevamo?
“Poche sono le cose eterne, e quindi anche la nostra Capitale, prima o poi, seguirà la stessa sorte, ma non saremo noi lì a documentarla. Direi che per ora dovremmo concentrarci su altri pericoli, più ricorrenti. Il vulcano va sicuramente monitorato, ma la nostra Capitale va in crisi per pochi millimetri di pioggia, non ci vuole un vulcano”.
Roberta De Carolis