In occasione del Consiglio UE dedicato alla pesca, le ONG ambientaliste lanciano l'allarme sulle condizioni di salute del Mediterraneo
In occasione del Consiglio UE dedicato alla pesca, le organizzazioni ambientaliste lanciano l’allarme sulle condizioni di salute del Mar Mediterraneo
Tra qualche giorno (12-13 dicembre) si svolgerà il Consiglio UE Agricoltura e Pesca, che ha come obiettivo principale quello di raggiungere un accordo politico sui limiti di cattura del pesce negli stock ittici situati in acque dell’Unione e acque non dell’Unione, nel Mar Mediterraneo e nel Mar Nero per il prossimo 2022. A margine del Consiglio si terrà inoltre un dibattito riguardante le pratiche sleali nella filiera alimentare – quelle, cioè, che violano le norme di condotta commerciale.
In occasione di questo Consiglio UE, diverse associazioni ambientaliste lanciano l’allarme nei riguardi delle condizioni critiche in cui versa il Mar Mediterraneo a causa della pesca selvaggia e non opportunamente regolamentata. Il nostro Mediterraneo è piagato da una pesca eccessiva ed ormai inaccettabile – ben 2,71 volte superiore a livelli sostenibili della Politica Comune della Pesca (PCP): questa “emergenza” potrà essere risolta solo se verranno messe in pratica misure drastiche contro la pesca smisurata e a tutela degli habitat e degli ecosistemi, affinché questi possano naturalmente rigenerarsi. Per fare questo, è necessario ridurre le attività di pesca imponendo limiti di cattura chiari e il divieto di catturare i pesci più giovani; inoltre, sarebbe opportuno che i governi istituissero aree naturali interdette alla pesca, per proteggere habitat sensibili e fragili.
Nel 2019, Spagna, Francia e Italia si sono impegnate a raggiungere la sostenibilità delle attività di pesca nel Mediterraneo occidentale entro il 2025, ritardando di cinque anni l’obbligo di sostenibilità fissato dalla PCP per il 2020 – hanno dichiarato le ONG. – Oggi gli scienziati stanno lanciando l’allarme: nessuno degli scenari di gestione valutati porterà alla fine della pesca eccessiva e al raggiungimento della sostenibilità entro il 2025, a meno che quelle stesse nazioni non adottino una riduzione più drastica dello sforzo (pressione) di pesca. Per evitare che Francia, Italia e Spagna continuino a mettere a repentaglio impunemente il futuro della pesca nel Mediterraneo e le migliaia di cittadini dell’Ue che da questa dipendano per il proprio sostentamento, chiediamo alla Commissione Europea di agire con misure di emergenza, prima che sia troppo tardi.
È ovvio che l’attuazione di tali provvedimenti in difesa degli ecosistemi marini avrebbe impatti significativi sulle economie dei Paesi comunitari: per questo le associazioni propongono – nell’attuazione del Piano Pluriennale del Mediterraneo occidentale (MAP) – l’inclusione di pianti di sostegno all’economia e alla transizione verso una pesca più sostenibile e rispettosa del mare. Ma bisogna fare presto e agire subito: gli stock ittici sono al collasso e presto questo potrebbe ritorcersi contro le stesse economie di sfruttamento. Si pensi, per esempio, che in alcune aree del Mediterraneo il nasello Europeo viene pescato a livelli più di 8 volte superiori a quelli sostenibili, triglie e gamberi blu e rossi oltre 6 volte, con conseguente riduzione delle catture e caduta dei pescatori in turbolenze economiche. Un serpente che si morde la coda e che potrebbe presto portare al tracollo economico.
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Fonti: WWF / Consiglio dell’Unione Europea
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