Xylella fastidiosa: con un dispositivo italiano, portatile ed economico, si farà presto a riconoscere il batterio sugli ulivi, ostacolando il diffondersi dell’epidemia
Xylella fastidiosa: con un dispositivo italiano, portatile ed economico, si farà presto a riconoscere il batterio sugli ulivi, ostacolando il diffondersi dell’epidemia.
Un gruppo di ricerca misto Università del Salento-Cnr Nanotec di Lecce ha infatti sviluppato un sistema basato su microsensori che segnala Xylella in tempi rapidissimi.
Attualmente dimostrare che un ulivo è infetto da Xylella significa effettuare delle procedure di laboratorio (essenzialmente due, chiamate Elisa e Pcr) con tempi relativamente lunghi. E mentre si attendono i risultati delle analisi, il batterio ha già attaccato altri ulivi vicini. Una corsa contro il tempo a totale vantaggio dell’epidemia.
Il dispositivo sviluppato dal gruppo di ricerca Università del Salento-Cnr Nanotec di Lecce ha invece dei tempi molto più brevi, e questo potrebbe permettere la circoscrizione degli alberi infetti, con eventuali abbattimenti, ma molto mirati, ostacolando la diffusione del batterio.
“I due metodi tradizionali sono stati confrontati con il nuovo test elaborato su biochip elettrochimici – spiega Serena Chiriacò, coautrice del lavoro – ottenendo risultati sovrapponibili a quelli dei test tradizionali, ma con vantaggi significativi in termini di costi e tempo impiegato per l’analisi”.
Il dispositivo è di fatto un biosensore innovativo in grado di effettuare l’analisi su piccoli volumi di campione, e le sue prestazioni sono competitive rispetto ai metodi diagnostici convenzionali. Oltre ad essere più rapida ed economica, l’apparecchiatura è portatile, in quanto misura pochi centimetri quadrati. Una volta industrializzata, promettono gli autori, la tecnologia proposta potrà fornire un metodo di analisi made in Salento, utile per attuare uno screening su larga scala.
Ricordiamo che l’infezione è ormai diffusa in tutta la provincia di Lecce e in parte di quelle di Taranto e Brindisi, minacciando anche quella di Bari. Un disastro ecologico, oltre che economico, che l’Unione Europea guarda con molta preoccupazione, tanto da aver già imposto all’Italia abbattimenti, e, più recentemente, trattamenti con pesticidi vietati in agricoltura biologica e nocivi per le api.
“Lo sviluppo di nuove tecniche diagnostiche – commenta a questo proposito Andrea Luvisi, ricercatore dell’Università del Salento – rappresenta un’utile risorsa per le azioni di monitoraggio, attività imprescindibile per il contenimento dell’epidemia”.
Ci auguriamo che tecnologie come questa diventino presto realtà, in modo da frenare il ricorso a tecniche di contenimento distruttive e pericolose per l’ambiente.
Il lavoro è stato pubblicato su Scientific Reports, una rivista del gruppo Nature.
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Roberta De Carolis