Rosarno, continua lo sfruttamento dei lavoratori impegnati nella coltivazione e nella raccolta delle arance. Come ha inizio lo sfruttamento. La risposta è molto semplice. Il costo delle arance è davvero basso. Si parla di 7 centesimi al chilo.
Rosarno, continua lo sfruttamento dei lavoratori impegnati nella coltivazione e nella raccolta delle arance. Come ha inizio lo sfruttamento. La risposta è molto semplice. Il costo per le arance è davvero basso. Si parla di 7 centesimi al chilo.
Una cifra insufficiente a coprire i costi di produzione e di raccolta. Lo denuncia la Coldiretti in occasione del proprio intervento nel corso dell’iniziativa “Legalità, diritti, dignità. Da Rosarno si può” che si è svolta proprio a Rosarno il 13 febbraio.
Si tratta di una situazione che continua ad alimentare una catena dello sfruttamento intollerabile, che colpisce lavoratori, agricoltori e trasformatori attenti al rispetto delle regole. Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti, ha sottolineato che è intollerabile che per l’aranciata venduta sugli scaffali dei supermercati a 1,3 euro a bottiglia agli agricoltori arrivino solo 3 centesimi per le arance contenute.
“Va combattuto senza tregua il becero sfruttamento che” – ha continuato Moncalvo – “colpisce la componente più debole dei lavoratori agricoli come gli immigrati, ma anche le imprese agricole che subiscono la pressione e la concorrenza sleale di un contesto gravemente degradato”.
Per interrompere questo circolo vizioso servono trasparenza e legalità. In Italia esistono già esempi virtuosi che vedono lavorare regolarmente nelle campagne oltre 322 mila immigrati extracomunitari provenienti da 169 nazioni diverse. Si tratta di lavoratori che, secondo i dati comunicati da Coldiretti, contribuiscono in modo strutturale e determinante all’economia agricola del Paese e rappresentano una componente indispensabile per garantire il successo del Made in Italy alimentare nel mondo.
“Siamo portatori di un modello di sviluppo a servizio del bene comune, anche sul fronte della legalità: un modello che offre la possibilità di trasformare i rischi territoriali di emarginazione e sfruttamento malavitoso degli immigrati in opportunità imprenditoriali di integrazione e di inclusione sociale. Una battaglia per la qualità distintiva delle produzioni nazionali ma” – ha precisato Moncalvo – “anche contro il dumping sociale e per la promozione della responsabilità etica delle imprese rispetto a sicurezza e legalità del lavoro, a partire dagli immigrati impiegati nel settore”.
L’esperienza di Rosarno dimostra come una filiera sempre più lunga con la presenza di troppi soggetti terzi (commercianti, cooperative di servizio, intermediari) ha creato terreno fertile per le infiltrazioni mafiose. Le giuste azioni repressive devono essere dunque accompagnate con responsabilità da un impegno per accorciare la filiera per costruire un rapporto più diretto tra i soggetti, garantire la trasparenza dell’informazione sul contenuto e sull’origine dei prodotti con il coraggio di parlare anche con le grandi multinazionali del settore, secondo il parere di Coldiretti. Sarebbe un segno di maggior rispetto sia per i lavoratori che per i consumatori.
Marta Albè
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