L’olio di palma sostenibile non preserva la foresta, parola dell’Unione europea

L’olio di palma ‘sostenibile’ è di nuovo sotto accusa: i sistemi di certificazione non sono in grado di preservare la foresta. A stabilirlo, questa volta, è una risoluzione del Parlamento europeo che denuncia il forte impatto delle coltivazioni e il fallimento delle certificazioni.

L’olio di palma ‘sostenibile’ è di nuovo sotto accusa: i sistemi di certificazione non sono in grado di preservare la foresta. A stabilirlo, questa volta, è una risoluzione del Parlamento europeo che denuncia il forte impatto delle coltivazioni e il fallimento delle certificazioni.

Che non esiste nessun olio di palma sostenibile l’aveva già detto l’Onu e l’avevamo a più riprese detto anche noi, ma adesso anche l’Unione europea apre gli occhi con una risoluzione che fa chiarezza su cosa sta succedendo in Indonesia e Malesia, maggiori produttori di olio di palma, con una quota stimata compresa tra l’85% e il 90% della produzione mondiale.

Si legge nella risoluzione: “l’espansione delle piantagioni di olio di palma ha portato a una distruzione delle foreste su vasta scala e a conflitti sociali che contrappongono le aziende di piantagioni ai gruppi indigeni e alle comunità locali”.

E ancora:“Negli ultimi anni, il settore privato ha dimostrato un crescente impegno per la protezione delle foreste e che oltre 400 società si sono impegnate a eliminare la deforestazione dai loro prodotti e dalle loro catene di approvvigionamento conformemente alla dichiarazione di New York sulle foreste, concentrandosi in particolare su merci quali olio di palma, soia, carni bovine e legname“.

Le considerazioni del Parlamento europeo sono frutto dell’analisi di uno studio di fattibilità sulle opzioni per rafforzare l’azione dell’UE contro la deforestazione che si concentra principalmente su sette prodotti che mettono a rischio le foreste, in particolare l’olio di palma, la gomma, la soia, la carne bovina, il granturco, il cacao e il caffè.

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Le certificazioni non preservano la foresta

Ed ecco il nocciolo della questione: “Né la Tavola rotonda per l’olio di palma sostenibile (RSPO), né l’olio di palma sostenibile indonesiano (ISPO), né l’olio di palma sostenibile malese (MSPO) né tutti gli altri principali sistemi di certificazione riconosciuti proibiscono effettivamente ai loro aderenti di convertire foreste pluviali o torbiere in piantagioni di palma”.

Quindi il Parlamento europeo: “Ritiene pertanto che tali principali sistemi di certificazione non siano in grado di limitare effettivamente le emissioni di gas serra derivanti dalla creazione e dalla coltivazione delle piantagioni e non riescano di conseguenza a evitare i grandi incendi in foreste e torbiere”.

Per questo, “Chiede alla Commissione di assicurare un audit e un monitoraggio indipendenti di tali sistemi di certificazione, garantendo che l’olio di palma immesso sul mercato dell’UE sia conforme a tutte le norme necessarie e sia sostenibile e osserva che la questione della sostenibilità nel settore dell’olio di palma non può essere affrontata unicamente con misure e politiche volontarie, ma che sono necessarie norme vincolanti e sistemi di certificazione obbligatori, anche per le aziende produttrici di olio di palma”.

Infine, il Parlamento europeo ritiene che vada comunque posto un freno all’espansione delle piantagioni e che è necessario “informare maggiormente i consumatori sulle conseguenze nefaste della produzione dell’olio di palma non sostenibile sull’ambiente, dato che l’obiettivo ultimo è ottenere un calo significativo del consumo di olio di palma”.

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Dominella Trunfio

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