Così le microplastiche entrano nel nostro cibo (e non solo col pesce che mangiamo)

Una percentuale sempre più alta di microplastiche si accumula nei terreni agricoli e finisce nel cibo che mangiamo a causa dei fanghi di depurazione

È ormai inutile negarlo: siamo invasi dalla plastica, l’intero Pianeta ne è invaso. Confezioni di cibo e detersivi, vestiti, giocattoli, accessori sanitari, oggetti di uso comune: tutto ha un’unica matrice – la plastica.

Oltre a essere un materiale estremamente inquinante a monte della sua catena produttiva (è un derivato del petrolio), un oggetto in plastica inquina anche al termine del suo ciclo di vita: disperso nell’ambiente naturale, si degrada per effetto dei raggi ultravioletti del sole o per l’azione dei fenomeni atmosferici, disgregandosi in minuscole particelle chiamate microplastiche.

Le microplastiche, leggerissime e quasi invisibili, hanno conquistato ogni ecosistema trasportate dall’acqua e dal vento: non c’è angolo del mondo che non sia stato contaminato da esse – dal ghiaccio marino antartico alle profondità oceaniche, dalle vette dell’Himalaya fino alle foreste pluviali o alle spiagge disabitate degli atolli.

Oltre a contaminare gli ambienti naturali, le microplastiche sono da anni finite nell’acqua che beviamo, nell’aria che respiriamo, persino nel cibo che mangiamo. Senza nemmeno accorgercene, potremmo consumare minuscoli frammenti di plastica a quasi ogni morso.

Le microplastiche disperse in mare finiscono nella catena alimentare ingerite dai pesci che poi finiscono nel  piatto. Ma questo non è l’unico modo in cui finiamo per mangiare plastica anche noi.

Secondo un’indagine condotta dai ricercatori dell’Università di Cardiff,  i terreni agricoli europei potrebbero essere il più grande serbatoio globale di microplastiche: si stima che ogni anno tra 31.000 e 42.000 tonnellate di microplastiche contaminino i terreni da cui proviene buona parte del cibo che mettiamo in tavola ogni giorno.

microplastiche nei terreni

@Environmental Pollution

Secondo i risultati raccolti dai ricercatori, il Regno Unito ha nei propri terreni agricoli una delle più alte concentrazioni di microplastiche di tutta l’Europa, con una quantità di particelle di microplastica distribuite ogni anno sui terreni compresa tra le 500 e le 1.000.

Ma come ci finiscono? Paradossalmente attraverso l’uso di fertilizzanti organici e dei cosiddetti fanghi di depurazione.

Qualche mese fa, l’ONG ambientalista Environmental Working Group (EWG) ha condotto negli Stati Uniti un’indagine indipendente sulla contaminazione dei terreni coltivati dovuta all’utilizzo di fanghi di depurazione come fertilizzanti.

I fanghi di depurazione sono il sottoprodotto che resta alla fine del processo di pulizia delle acque reflue urbane. Costosi da smaltire ma al tempo stesso ricchissimi di sostanze organiche nutritive, questi fanghi sono comunemente utilizzati come fertilizzanti organici nei terreni di Europa e Stati Uniti.

In particolare, nel nostro continente, l’utilizzo dei fanghi di depurazione come fertilizzanti agricoli si inserisce in un piano comunitario di economia circolare, nel quale i rifiuti vengono trasformati in risorsa. Si stima che, ogni anno, in Europa vengano prodotte circa 8-10 milioni di tonnellate di fanghi di depurazione, di cui circa il 40% viene sparso su terreni agricoli.

Potrebbe sembrare un’azione virtuosa, quella di riciclare questi fanghi come fertilizzante per i terreni agricoli, ma non è affatto così: oltre agli scarichi domestici, le acque reflue raccolgono anche gli scarichi industriali carichi di sostanze chimiche tossiche – come microplastiche, PFAS e metalli pesanti.

Leggi anche: Pfas anche nei fertilizzanti per uso domestico a base di fanghi di depurazione, lo studio

Purtroppo, tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, non esistono requisiti minimi per testare l’effettiva tossicità dei fanghi né informative che avvertano gli agricoltori che potrebbero usare fanghi contaminati sui loro raccolti.

Tornando all’indagine americana, l’EWG ha stimato che il 5% di tutti i campi coltivati negli Stati Uniti fa uso di fanghi di depurazione come fertilizzanti organici.  Questa pratica permette alle sostanze chimiche dannose di accumularsi nel terreno e di contaminare colture quali grano, mais, ortaggi e foraggio per il bestiame – nonché l’acqua con cui i campi vengono irrigati.

La drammaticità della questione non interessa solo il cibo che mangiamo, ma anche la salute degli oceani di tutto il mondo, già profondamente contaminati dalle microplastiche. Infatti, dopo aver contaminato i terreni, parte delle microplastiche provenienti dai fanghi di depurazione finirà nei corsi d’acqua e, in ultima istanza, nei mari e negli oceani.

Leggi anche: Fanghi da depurazione e metalli pesanti rischiano di inquinare il compost italiano (finendo sulle nostre tavole)

 

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Fonti: Environmental Working Group / Environmental Pollution

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