Costretti ad abitare in baraccopoli in aree trasformate in ghetti, spesso senza acqua e corrente elettrica: un nuovo report fa luce sulla vita infernale dei braccianti stranieri che lavorano in Italia
Trascorrono intere giornate sotto il sole cocente, sfruttati dal sistema del caporalato e pagati una miseria per raccogliere e coltivare frutta e verdura che poi arriva sulle nostre tavole. La vita dei braccianti agricoli stranieri che vivono in Italia è un vero inferno. Non sono soltanto costretti a ritmi di lavoro disumani.
Una volta finito il turno, a casa la situazione non è affatto migliore: ben 10mila migranti, impegnati nei campi a raccogliere agrumi e pomodori, si ritrovano ad abitare in baracche, roulette o in strutture fatiscenti all’interno di veri e propri ghetti, in abitazioni fatiscenti dove manca anche l’acqua e l’elettricità.
A restituirci questa fotografia drammatica è il Rapporto dal titolo “Le condizioni abitative dei migranti che lavorano nel settore agroalimentare”, appena pubblicato Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali insieme all’Associazione Nazionale dei Comuni. Si tratta della prima indagine di questo tipo.
La distribuzione geografica dei braccianti agricoli stranieri
L’inchiesta è stata realizzata fra ottobre 2021 e gennaio 2022 sui lavoratori migranti – sia stagionali che stanziali – del settore agroalimentare. Sono state le 3.851 amministrazioni comunali coinvolte, a cui sono state chieste informazioni sulla presenza di braccianti agricoli stranieri e servizi presenti sul territorio. E in 608 comuni è stata rilevata la presenza dei braccianti provenienti da Paesi stranieri.
Il Sud è l’area dove complessivamente si registra il più alto numero di Comuni che dichiara la presenza di lavoratori migranti occupati nel settore agroalimentare sia stagionali che di lunga durata. – si legge nel report – Tuttavia è sbagliato ritenere che ci siano aree totalmente estranee al fenomeno: si trovano al Nord, infatti, due regioni dove si riscontra il numero più alto di Comuni che dichiara la presenze di braccianti agricoli stranieri (Piemonte e Lombardia) e Cuneo risulta essere la Provincia con il maggior numero di strutture alloggiative, temporanee o stabili attivate da soggetti pubblici o privati, nelle quali vivono questi lavoratori.
Pur considerando differenze e peculiarità, possiamo indubbiamente constatare che questa realtà, spesso ricondotta esclusivamente ad alcuni territori, interessi in verità tutto il territorio italiano e che per tale ragione sia necessario, per pianificare interventi strategici, continuare a porre attenzione alla dimensione nazionale e complessiva del fenomeno.
Dall’indagine è emerso che nella maggioranza dei casi (78,8%) i lavoratori migranti occupati nel settore agricolo vivono in abitazioni private e in poco meno del 22% dei Comuni sono invece presenti strutture alloggiative temporanee o stabili attivate da soggetti pubblici o privati e/o insediamenti informali.
La maggior parte degli insediamenti informali mappati, infatti, è presente sul territorio comunale da parecchi anni: ben 11 insediamenti esistono da più di 20 anni, 7 insediamenti sono presenti da oltre 10 anni e 16 da oltre 7 anni – spiega l’ANCI – Si tratta dunque di un fenomeno fortemente cristallizzato all’interno di molte realtà comunali e pur avendo un carattere prevalentemente stabile, nella maggior parte dei casi, non sono presenti servizi essenziali e all’interno degli insediamenti, dove sono state stimate oltre 10.000 persone presenti, le condizioni di vita risultano estremamente precarie.
Negli ultimi 3 anni, dei 608 Comuni che hanno dichiarato la presenza di migranti impiegati nel settore agro-alimentare solo 54 (parli 8,9%) hanno realizzato interventi di riqualificazione di immobili pre-esistenti.
La dura vita nelle baraccopoli che agevola il caporalato
Ogni giorno i braccianti stranieri devono fare i conti con numerosi ostacoli. Nella maggior parte dei casi nelle vicinanze degli alloggi non vi sono servizi pubblici di trasporto e per raggiungere una fermata del treno o del bus sono costretti a percorrere km in bici o a piedi.
Sono infatti superiori al 40% gli insediamenti informali che si trovano oltre i 10 chilometri di distanza dai luoghi di lavoro e, fra questi, quasi il 10% è distante oltre 50 km. Spesso mancano servizi essenziali come l’acqua e la corrente elettrica, mentre gli interventi sociosanitari e, più in generale, tutti quelli finalizzati a favorire l’integrazione dei migranti, risultano praticamente assenti.
I lavoratori che vivono in queste baraccopoli non hanno a disposizione alcun servizio di assistenza, come il supporto legale e quello dei sindacati. Tutti fattori che non fanno altro che rafforzare il caporalato.
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Fonte: ANCI
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