Dietro le fragole e gli agrumi che finiscono sulle nostre tavole si nascondono storie terribili di sfruttamento, diritti negati e molestie sessuali: è l'incubo che sono costrette a vivere giornalmente le braccianti straniere che lavorano nei campi del Sud Italia. Ma per la società restano invisibili.
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“Il lavoro nobilita l’uomo” recita un noto proverbio, ma in certi (troppi!) casi il lavoro diventa fonte di umiliazione e si trasforma in un incubo. Lo sanno bene le donne braccianti che lavorano nei campi agricoli del Sud Italia, costrette a subire ricatti e persino molestie sessuali. Per cosa? Per un salario da fame, ma indispensabile perché permette loro di sopravvivere e dare da mangiare ai propri figli. Ogni giorno centinaia di donne invisibili, nella maggior parte provenienti da Paesi come la Bulgaria e la Romania, fanno turni estenuanti nei campi dove coltivano fragole, ma anche agrumi e uva che poi finiscono sulle nostre tavole. Frutti dal retrogusto amarissimo: quello del caporalato.
A denunciare questa vergognosa situazione, molto diffusa nell’Arco Ionico (che comprende le provincie di Matera, Taranto e Cosenza), è ActionAid, l’organizzazione internazionale impegnata nella lotta alla povertà, che dal 2016 cerca di indagare e cambiare le condizioni di vita disumane delle braccianti sfruttate nei campi della Puglia, della Basilicata e della Calabria.
Proprio in questi giorni ActionAid ha pubblicato il report “CAMBIA TERRA. Dall’invisibilità al protagonismo delle donne in agricoltura”, che restituisce una fotografia a dir poco drammatica nelle Regioni del Sud Italia.
Guadagno trentotto euro al giorno. – racconta Catilina, bracciante di origini rumane che lavora nei campi della Basilicata – Chi riesce lavora senza interruzioni, dal lunedì alla domenica. Gli uomini ricevono due euro in più all’ora perché hanno compiti più pesanti. Stamattina mi sono alzata presto, cominciamo alle sei: prepariamo il terreno per piantare le fragole, lo concimiamo. Devo stare sempre piegata e adesso che sono incinta è faticoso. Mi sento sfiancata, però sono obbligata ad andarci, ho bisogno di soldi.
Ma la sua è solo una delle tantissime storie di umiliazione, sfruttamento e diritti negati.
Donne costrette a ritmi estenuanti nella totale invisibilità
In quei campi sacrificano le loro giornate e la loro salute, ma le braccianti straniere sono invisibili agli occhi della società. Non esistono, infatti, dati certi sul numero di operaie agricole nel nostro Paese. Il lavoro in nero, diffusissimo nel settore, le espone a tantissimi pericoli. Come riportato da ActionAid, secondole stime sarebbero tra 51 e 57mila le lavoratrici sfruttate in Italia. Nell’Arco Ionico le operaie agricole regolari sono 22.702, 16.801 italiane e 5.901 straniere, di cui il 76% è costituito da comunitarie, specialmente rumene e bulgare. Ma più che lavoratrici sarebbe meno ipocrita definirle schiave del caporalato (che muove un’economia illegale di oltre cinque miliardi di euro).
Anche nel settore agricolo le donne devono fare i conti con le disuguaglianze di genere, a partire dalla disparità salariale: nei campi le donne arrivano a guadagnare anche solo 25/28 euro al giorno, mentre gli uomini ne ricevono 40.
Come se non bastasse, la pratica dei datori di lavoro sleali di dichiarare in busta paga un numero inferiore di giornate rispetto a quelle lavorate impedisce alle donne di accedere all’indennità di infortunio, malattia e disoccupazione agricola e persino alla maternità.
L’incubo delle molestie sessuali e delle minacce
I diritti delle braccianti straniere vengono calpestati quotidianamente. Non solo ricatti e stipendi da fame: le donne che lavorano indirettamente per noi sono trattate come veri e proprio oggetti, molestate sessualmente e non soltanto nelle campagne ma anche su mezzi di trasporto, nei magazzini, nelle serre e negli alloggi messi a disposizione dai datori di lavoro.
Nel barese, da anni va avanti un metodo collaudato. – spiega Annarita Del Vecchio, psicologa e collaboratrice di ActionAid in Puglia. – La mattina, quando nelle piazze arrivano i furgoni per portare le operaie agricole nei campi, la “prescelta” viene fatta salire davanti, nello spazio accanto al guidatore. Sul cruscotto vengono messi un cornetto e un caffè caldo, comprati al bar. Mangiare la colazione significa accettare l’avances sessuale e quindi ottenere l’ingaggio. Rifiutando, invece, il giorno dopo si viene lasciate a casa.
Nei loro confronti la violenza è esercitata in diverse forme forme: verbale, fisica, psicologica e sessuale. Spesso le lavoratrici vengono minacciate di non essere pagate o di essere licenziate. E chi prova a ribellarsi alla violenza viene automaticamente punita.
I caporali si telefonano l’uno con l’altro per segnalare le piantagrane. – spiega Maurizio Alfano, ricercatore ed esperto Immigrazione anche per la Regione Calabria. – C’è uno scambio di manodopera e quindi di informazioni. Il sistema è sofisticato: ad esempio, quando finisce la stagione dei mandaranci e inizia la semina delle fragole, i caporali organizzano i trasporti fino alla Basilicata. Vengono preferite le donne perché sono più prostrate e obbligate a sopportare con rassegnazione.
Diritti calpestati
Per chi lavora nei campi riuscire ad accudire i propri figli è un’impresa.
Uno dei problemi di cui non si parla è quello della maternità: la gestione dei figli è davvero difficile per le lavoratrici agricole. – spiega Adriana, ex bracciante rumena, divenuta una delle leader comunitarie di ActionAid – Quando la campagna inizia presto, alle due o alle tre di notte, prendono i bambini addormentati e, se non hanno familiari di riferimento, li portano a casa di estranee che ne accudiscono cinque, sei, o dieci nelle loro case. Li tengono fino a quando le madri non tornano a prenderli, il pomeriggio. Mandarli all’asilo non è possibile, l’orario non lo permette.
In Regioni come la Calabria sono nati degli asili nido irregolari”, dei servizi a pagamento, in nero, dove lavora personale senza alcuna formazione che si occupa dei piccoli fino all’arrivo dei genitori.
Qualcuna si porta i figli nelle serre, facendoli dormire in cassette di legno. – si legge nel report di ActionAid – Molte lavoratrici agricole non si recano negli uffici pubblici perché non parlano italiano e non sono disponibili servizi di interpretariato o di mediazione linguistico-culturale. Inoltre, lamentano spesso la mancanza di attenzione alla loro salute fisica: in assenza di servizi igienici, le donne sono costrette ad utilizzare i campi, anche quando piove, e anche quando hanno il ciclo mestruale. Chi chiede un giorno di pausa rischia di non lavorare nei giorni successivi.
L’iniziativa “Cambia terra” che offre un’occasione di riscatto alle braccianti
Per aiutare queste donne sfruttate e umiliate nel 2016 ActionAid ha avviato un programma che rende protagoniste le operaie agricole e le aiuta a riscattarsi e a lottare per la tutela dei loro diritti. Il progetto coinvolge istituzioni, sindacati, associazioni locali, imprese agricole e associazioni di datori di lavoro. Finora ActionAid ha formato 12 leader di comunità identificate tra le donne partecipanti ai percorsi di empowerment.
Il modello agricolo attuale non è sostenibile, né per le lavoratrici a rischio o in condizioni di sfruttamento, né per le tante imprese che rispettano le regole nonostante le molte difficoltà che il mercato e la concorrenza sleale impone loro. – conclude Grazia Moschetti, responsabile dei progetti ActionAid nell’Arco Ionico – Abbiamo bisogno di cambiare prospettiva, mettendo al centro i bisogni delle lavoratrici agricole come cittadine e come persone che ad oggi sono escluse dai più basilari servizi di welfare e più in generale dai processi democratici delle comunità di appartenenza. Servono spazi pubblici di confronto dedicati alle donne, costruiti da loro e supportati da tutte le parti in causa, dalle imprese alle associazioni. Solo con il contributo di tutti – come sta accadendo nell’Arco ionico – possiamo coltivare relazioni positive dentro e fuori i luoghi di lavoro. Le operaie agricole non possono più essere escluse o lasciate ai margini degli interventi delle istituzioni, ad oggi attuati senza una chiara prospettiva di genere. Continuare a farlo significa non mettere fine deliberatamente alle violazioni dei diritti e alle violenze che subiscono.
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Fonte: ActionAid
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