In Gambia l’innalzamento dei mari distrugge le risaie, con conseguenze drammatiche per contadini e popolazione

A farne le spese sono soprattutto le donne che lavorano nelle risaie e che senza raccolto perdono la loro indipendenza economica

Non molto tempo fa, chi lavorava nelle risaie in Gambia, riusciva ad assicurarsi riso per un anno intero per sé e per la propria famiglia. Oggi purtroppo non è più così e un raccolto basta a malapena per tre o quattro mesi. Dopodiché si è costretti a comprare riso dall’estero.

I raccolti sono nettamente diminuiti, anche a causa dell’innalzamento del livello del mare. L’acqua salata si spinge sempre più lungo il fiume Gambia che percorre il paese e non può essere usata nelle risaie, altrimenti sarebbe impossibile far crescere il riso.

Se l’acqua dolce diventa salata, per coltivare il riso bisogna far affidamento solo all’acqua piovana; impossibile tenendo conto dei periodi di siccità. Oltre 30 ettari di terra adibita a risaie sono dunque stati abbandonati.

Vent’anni fa, un campo avrebbe prodotto 20 sacchi di riso. Ora, ci sono piani per una diga per fermare l’acqua salata, ma si sa che la vita non tornerà mai com’era prima dell’arrivo della crisi climatica. Questa terra era tutta risaia. Ora è tutto abbandonato – ha spiegato Almamo Fatty, contadino gambiano di 63 anni.

L’abbandono delle terre ha ovviamente numerose conseguenze sulla popolazione, a cominciare dalla difficoltà di sfamarsi. L’agricoltura rappresenta poi il settore più importante dell’economia del Paese, rappresentando circa un quarto del PIL e impiegando circa il 75% della forza lavoro.

Non solo. Il lavoro nelle risaie è tradizionalmente affidata alle donne e spesso è l’unica occupazione che riescono a trovare. Senza riso da coltivare, molte donne restano senza lavoro e mezzi di sussistenza.

Diverse donne in Gambia, dopo essere riuscite a conquistare una loro indipendenza economica, oggi si vedono costrette a dipendere dai figli o dai mariti. In caso di violenze domestiche, in questa situazione non hanno modo di ribellarsi.

C’è una grande ingiustizia al centro di tutto questo. Troppo spesso questi gruppi sottorappresentati, come le donne che vivono in Stati fragili, comprendono meglio la posta in gioco e, quindi, le soluzioni necessarie per affrontare il cambiamento climatico. Eppure le donne in particolare sono state sistematicamente escluse dal tavolo decisionale, la riflessione di Fatou Jeng, attivista ambientale gambiana che ha di recente partecipato alla COP26.

La crisi climatica ha dunque un effetto domino che coinvolge l’economia del Paese, l’economia delle famiglie e che mette a rischio tutta la popolazione, a cominciare dalle categorie più vulnerabili che, sebbene siano maggiormente colpite, non hanno voce in capitolo.

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Fonte di riferimento: The Guardian/Rescue UK

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